Sorprendente come i cittadini e i media accettino in massa le sue bugie:
dall'estero
Haile Gerima
(17 marzo 2009)
Tralasciando il fatto, non da poco, riguardante la modalità della ricusazione della concessione della Sala Multimediale - regolarmente richiesta ed accordata nei tempi dovuti - avvenuta un giorno prima l’evento previsto (il 12 c.m.), che ha creato una serie di problemi logistici ed organizzativi. Tralasciando anche il fatto che la legge italiana che si presume - erroneamente - possa impedire un dibattito sulle Foibe (cosa invece prevista, basta leggere la legge stessa: “È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende… “) è stata trovata alla prima voce di Google, conseguenza di una evidente imbeccata degli uomini di Aries e Terza Via, gente che usa scrivere “Shoà”. A parte tutto questo, già bastante a screditare definitivamente l’operato approssimativo di questo Sindaco e della sua attuale Giunta, bisogna ricordare a questi personaggi, che si improvvisano politici della nostra città determinandone i destini, ed a tutti i cittadini, che in questo territorio sono stati organizzati eventi ed incontri con gente condannata in primo grado o definitivamente, concerti di gruppi neofascisti e neonazisti, iniziative tese a riabilitare sanguinari dittatori del calibro di Mussolini, quando l’apologia del fascismo è, questa sì, anticostituzionale.
E’ evidente l’intento di questo Sindaco di raggranellare voti accontentando quelle forze di estrema destra che lo sostengono, al punto di usare arbitrariamente la politica del bastone e della carota, che lo qualifica per quello che è, un improvvisatore della politica stessa, un uomo senza ideali prestato all’amministrazione comunale per affare, e che fa tutto questo mostrando limiti democratici preoccupanti ed imbarazzanti.
Tutte le forze comuniste della città solidarizzano col Collettivo Antifascista del Fermano al fine di stigmatizzare la deriva autoritaria che sta prendendo sempre più piede in questa amministrazione comunale.
Accelerare il processo di costruzione di una lista unitaria anticapitalista e comunista
di Fosco Giannini
su altre testate del 01/03/2009
Elezioni europee: accelerare il processo di costruzione di una lista unitaria anticapitalista e comunista Comunicato stampa di Fosco Giannini (direzione nazionale PRC), a nome de l’Ernesto – 1 marzo 2009
1. Dopo alcuni incomprensioni, il cui rapido superamento – cui abbiamo fortemente contribuito – ne dimostra il carattere non strutturale, è in atto un processo positivo di accelerazione della costruzione di una lista unitaria della sinistra anticapitalistica e comunista alle elezioni europee, che faccia riferimento al gruppo parlamentare europeo (GUE-NGL), in cui convergono i partiti comunisti e di sinistra alternativa dell’Unione europea.
2. Lavoriamo per una lista aperta ai movimenti di lotta, che sotto il simbolo della falce e martello - da sempre riferimento per i comunisti ma anche per le sinistre del movimento operaio e del lavoro (le due cose sono complementari) - sappia suscitare una motivata passione popolare per una sinistra comunista che sia perno di una più vasta unità d’azione a livello sociale, sindacale, di movimento, politica.
3. Essa va costruita fin da oggi anche dal basso, con la costruzione in ogni luogo territoriale o di lavoro, grande e piccolo, di spazi di iniziativa sociale e politica unitaria, nel conflitto sociale. Non deve essere solo strumento di mobilitazione elettorale (certo, anche); deve saper ricostruire un consenso sociale e politico credibile con una iniziativa radicata e duratura, non congiunturale o meramente propagandistica. Ciò significa saper parlare credibilmente ai soggetti sociali più colpiti dalla crisi, non solo alle persone più politicizzate, unificando con obiettivi di lotta appropriati lavoratori occupati, disoccupati e precari, nord e sud del Paese.
4. Costruire una lista unitaria con tali caratteristiche (capace così di superare la soglia ardua del 4%) implica, da parte di ognuno, la necessità di porre l’accento su ciò che unisce, al di là delle differenze fisiologiche di cultura politica e di progetto, che. non vanno continuamente esasperate e di cui si discuterà a suo tempo. Facciamo tesoro della massima saggia e antica per cui a volte il meglio è nemico del bene. Ciò significa anche rispettare la dignità di ogni soggetto, bandire ogni spirito annessionistico, e procedere rapidamente – senza ulteriori indugi e ondeggiamenti - evitando ogni settarismo e ogni polemica superflua, da ogni parte.
su Contropiano del 27/02/2009
Gli assassini erano cinque ed erano legati ai poteri forti. Nuove dichiarazioni di Giuseppe Pelosi, condannato per l’omicidio del poeta.
Giuseppe Pelosi, condannato per l'omicidio di Pierpaolo Pasolini, fa un ulteriore passo avanti verso la verità sull' uccisione del poeta. La notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975 erano in cinque a massacrare di botte il saggista che aveva denunciato i retroscena del potere e che stava lavorando al romanzo "Petrolio" dedicato a Eugenio Cefis, indicato come il vero fondatore della P2 e il "grande manovratore" del potere più oscuro.
Pelosi non incontrò casualmente il regista quella sera; c'era un appuntamento fissato esattamente una settimana prima. Pelosi rivela, in una intervista inedita a Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - autori del volume "Profondo nero. Mattei, De Mauro, Pasolini. Un'unica pista all'origine delle stragi di Stato", appena uscito per Chiarelettere - che tra quei 5 c'erano i due fratelli Borsellino, Franco e Giuseppe, morti da tempo di aids.
Il nome dei due non è nuovo. Già una informativa di due mesi dopo il delitto li indicava, assieme ad un terzo, come gli autori del massacro dell'Idroscalo. Ora Pelosi ne conferma direttamente la responsabilità ed anche il contesto in cui avvenne il pestaggio mortale e dice che sono rimasti nell'ombra gli altri tre (anche se uno potrebbe essere, nonostante le smentite di Pelosi, Giuseppe Mastini, detto Jhonny lo Zingaro), e soprattutto che si trattò di un omicidio politico.
I due Borsellino erano frequentatori della sezione dell'Msi del Tiburtino. "Se tu uccidi in questo modo o sei pazzo o hai una motivazione forte. Se gli assassini sono stati fatti sfuggire alla giustizia per trent'anni, pazzi non sono certamente ..avevano una ragione importante per fare quello che hanno fatto. E nessuno li ha mai toccati.". "Quella sera c'erano pure Franco e Giuseppe Borsellino... quei due stavano tramando qualcosa, qualcosa di brutto me ne sono accorto subito, e perciò gli ho detto chiaro che io non volevo partecipare, non ne volevo sapere nulla". Appena arrivato all'Idroscalo sulla Gt di Pasolini dal buio esce una macchina scura, un 1300 o un 1500 da cui scendono 5 persone. Uno, con la barba sui 40 anni, assesta a Pelosi un cazzotto. Pelosi scappa dopo essere stato minacciato. I 5 tirano fuori Pasolini dalla macchina e iniziano il pestaggio. Gli dicevano "Sporco comunista, frocio, carogna". Pelosi si riavvicina quando tutto è finito.
Il problema, quindi, sono gli altri tre, quelli mai individuati. I Borsellino - dice Pelosi - erano "diventati fascisti, andavano a fare politica". Pelosi conferma di aver avuto nel tempo minacce "vere e proprie", inviti a tacere. Quella data a Pasolini fu una lezione, una punizione, "forse dovuta al partito o alla politica. Pasolini stava sul cacchio a qualcuno". Alla fine "ho pagato solo io" spiega Pelosi che rivela un'altra novità. La scelta di accollarsi tutta la storia, di ridurre tutto "a un fatto di froci" gli venne suggerita dal suo avvocato difensore, Rocco Mangia. Questo avvocato era subentrato a due colleghi, gli Spaltro che si erano proposti di difendere Pelosi con uno stratagemma: avevano millantato una sorta di mandato avuto da "zio Giuseppe", solo che Pelosi non aveva alcun zio con questo nome.
Poi arrivò Mangia, portato dai genitori di Pelosi. Lui puntò tutto,diversamente dagli avvocato Spaltro, sull'occultamento del ruolo del commando dei 5 nell'omicidio. Rocco Mangia nominò come consulenti Aldo Semerari e Fiorella Carrara, i due periti utilizzati spesso dalla banda della Magliana per avere delle false perizie.
Alla fine tutti i periti, compresi quelli nominati dai magistrati, sostennero che Pelosi quella sera non era in grado di intendere e di volere ma la giuria smentì questa unanime valutazione: Pelosi si fece 9 anni, 7 mesi e 10 giorni di galera. "Ho pagato solo io che avevo 17 anni, forse perché ero il 'gaggio' di zona...come si dice a Roma...il più scemo".
QUELLO CHE I COMUNISTI DEVONO FARE *
* Il Manifesto, martedi 24 febbraio
Di Fosco Giannini *
* direttore de l’ernesto
Siamo di fronte ad un regime reazionario in costruzione e non tutti ne hanno percezione. Scriveva Dino Greco il 10 febbraio, su Liberazione: Quello che Berlusconi sta provando a determinare è lo smottamento della democrazia costituzionale. Quali esempi possono essere evocati per cogliere il senso profondo di questa caduta verticale della democrazia? La vigilia del 1925 nell’Italia dell’incombente regime fascista?L’assolutismo regio riassunto dalla celebre frase di Luigi XV , l’ètat c’est moi?
Vi è il tentativo di portare la spallata finale: ulteriori colpi alla Costituzione, dentro il progetto più ampio di provocare una crisi istituzionale volta alla fuoriuscita dagli assetti nati dalla Resistenza; attacco violento al contratto nazionale di lavoro; chiusura di fatto del Parlamento, ridotto ad uno spazio “sordo” volto alla decretazione d’urgenza e alla dittatura della maggioranza; leggi razziali; liceità istituzionale delle squadracce verdi – fasciste, con tanto di salario statale.
Tutto ciò dentro la crisi profonda della sinistra, delle forze comuniste, del movimento sindacale, una crisi che trova le sue basi anche nel fallimento del governo Prodi e nella subordinazione delle forze d’alternativa a quelle moderate e di centro. Un fallimento, quello dell’esperienza Prodi, che i vendoliani scissionisti rimuovono, riproponendo, come se il 13 e
E sopra tutto volteggia la cosiddetta “crisi del capitale”, che evoca un milione di nuovi disoccupati.
Una forza immane, di segno reazionario, incombe sul movimento operaio complessivo e sulla democrazia.
Il capitale ha in mano i partiti della maggioranza, giornali, televisioni, esercito, polizia, che da Genova in poi sono sempre più fuori dalle caserme e sempre più presenti nelle strade.
E siamo di fronte ad un senso comune di massa in buona parte inquietante e reazionario.
Di fronte a tutto ciò qual è la natura e la forza dell’opposizione?
Il PD, ormai collocato nell’area liberista (pagandone il prezzo) ha problemi seri a schierarsi anche con
Siamo di fronte ad una titanica macchina da guerra padronale. Contro questa chi si batte? PRC e PdCI, le cui “basi” rappresentano, insieme, il nocciolo più duro e avanzato della resistenza sociale, contano comunque su circa 100 mila iscritti e dunque su circa 10/15 mila militanti, che dovrebbero sostenere la lotta sull’intero campo nazionale.
Oltre ciò, spezzoni: sindacalismo di base, associazioni, gruppi, movimenti, altre piccole formazioni anticapitaliste che insieme, tuttavia, non raggiungono ancora quella massa critica sufficiente ad organizzare una resistenza vera al potere del capitale.
Rispetto a tutto ciò vi è chi, contro il progetto dell’unità delle forze comuniste e anticapitaliste, pone (nell’obiettivo non innocente di esasperare le differenze, piuttosto che cucire i punti di unità) questioni di tipo ideologico, filosofico, politico; questioni in sè giuste, nel senso che rimandano ai problemi del processo unitario. Ma il punto è che di fronte al pericolo che viviamo chi si schiera contro questa unità ricorda i teologici di Bisanzio che nei giorni dell’assedio discettavano sul sesso degli angeli.
Vi è invece un obiettivo da cogliere: dare speranza e organizzare il popolo comunista e anticapitalista disperso nella diaspora. Centinaia di migliaia sono le comuniste/i che sono uscite/i – delusi - dai due partiti comunisti maggiori; altri sono micro organizzati in un pulviscolo rosso. Di fronte a ciò, abbiamo un compito: ricostruire un intento unitario, una nuova passione che possa riaggregare la diaspora, conquistare le giovani generazioni e costruire un partito comunista all’altezza dei tempi, in grado di offrirsi come cardine dell’unità dell’intera sinistra d’alternativa.
Da questo punto di vista va salutata positivamente la scelta del PRC di una lista unitaria (“comunista e anticapitalista”) per le elezioni europee.
Una lista che nasca non come l’Arcobaleno e cioè in un laboratorio politicista, lontano dalle masse, dai militanti e deprivata di simboli e politiche forti; ma nel conflitto sociale condiviso dalle forze comuniste e anticapitaliste che la compongono e attraverso una grande passione popolare che tutti siamo chiamati a costruire.
Per costruire l’unità occorre che nessun soggetto, nemmeno il PRC, si ponga in modo “padronale”.Ciò vale sia per la messa a fuoco della lista che per il simbolo. E vanno apprezzate due parole –chiave che segnano il documento della Direzione del PRC: si dice infatti che Rifondazione promuove la lista unitaria (non che la costruisce da sé) e che il simbolo (che dovrà essere quello della falce e il martello, senza il quale l’Arcobaleno si era suicidato) sarà determinato a partire da quello del PRC; cosa che, inequivocabilmente, vuol dire che alla fine sarà un simbolo diverso da quello di Rifondazione, che potrà rappresentare tutti i soggetti della lista unitaria.
Da tempo poniamo il problema dell’unità dei comunisti. Sappiamo che tale unità non si costruisce in un passaggio elettorale, ma nel conflitto sociale condiviso e nella ricerca politica e teorica aperta, che parta da un’autocritica profonda dei due partiti comunisti maggiori – PRC e PdCI – e che punti a ricostruire un partito comunista all’altezza delle nuove – e spesso ancora sconosciute – contraddizioni capitalistiche. Tuttavia la lista unitaria, che deve unire le comuniste/i già ora nel conflitto sociale, nella campagna elettorale e in un progetto anti Maastricht (dunque anticapitalista e antimperialista) ha le potenzialità per avviare un iniziale percorso unitario dal carattere strategico.