domenica 1 marzo 2009

Quello che i comunisti devono fare


QUELLO CHE I COMUNISTI DEVONO FARE *

* Il Manifesto, martedi 24 febbraio

Di Fosco Giannini *

* direttore de l’ernesto


Siamo di fronte ad un regime reazionario in costruzione e non tutti ne hanno percezione. Scriveva Dino Greco il 10 febbraio, su Liberazione: Quello che Berlusconi sta provando a determinare è lo smottamento della democrazia costituzionale. Quali esempi possono essere evocati per cogliere il senso profondo di questa caduta verticale della democrazia? La vigilia del 1925 nell’Italia dell’incombente regime fascista?L’assolutismo regio riassunto dalla celebre frase di Luigi XV , l’ètat c’est moi?

Vi è il tentativo di portare la spallata finale: ulteriori colpi alla Costituzione, dentro il progetto più ampio di provocare una crisi istituzionale volta alla fuoriuscita dagli assetti nati dalla Resistenza; attacco violento al contratto nazionale di lavoro; chiusura di fatto del Parlamento, ridotto ad uno spazio “sordo” volto alla decretazione d’urgenza e alla dittatura della maggioranza; leggi razziali; liceità istituzionale delle squadracce verdi – fasciste, con tanto di salario statale.

Tutto ciò dentro la crisi profonda della sinistra, delle forze comuniste, del movimento sindacale, una crisi che trova le sue basi anche nel fallimento del governo Prodi e nella subordinazione delle forze d’alternativa a quelle moderate e di centro. Un fallimento, quello dell’esperienza Prodi, che i vendoliani scissionisti rimuovono, riproponendo, come se il 13 e 14 aprile 2008 non ci fossero mai stati, sia il superamento del Partito Comunista che un nuovo centrosinistra con il PD colonna portante.

E sopra tutto volteggia la cosiddetta “crisi del capitale”, che evoca un milione di nuovi disoccupati.

Una forza immane, di segno reazionario, incombe sul movimento operaio complessivo e sulla democrazia.

Il capitale ha in mano i partiti della maggioranza, giornali, televisioni, esercito, polizia, che da Genova in poi sono sempre più fuori dalle caserme e sempre più presenti nelle strade.

E siamo di fronte ad un senso comune di massa in buona parte inquietante e reazionario.

Di fronte a tutto ciò qual è la natura e la forza dell’opposizione?

Il PD, ormai collocato nell’area liberista (pagandone il prezzo) ha problemi seri a schierarsi anche con la CGIL; Sinistra Democratica e i vendoliani usciti si illudono ancora di giungere a redistribuzioni del reddito da conquistare senza conflitto sociale e con un compromesso buono coi padroni; la Cgil non sembra in grado di garantire quel ciclo di lotte necessario al cambiamento dei rapporti di forza sociali.

Siamo di fronte ad una titanica macchina da guerra padronale. Contro questa chi si batte? PRC e PdCI, le cui “basi” rappresentano, insieme, il nocciolo più duro e avanzato della resistenza sociale, contano comunque su circa 100 mila iscritti e dunque su circa 10/15 mila militanti, che dovrebbero sostenere la lotta sull’intero campo nazionale.

Oltre ciò, spezzoni: sindacalismo di base, associazioni, gruppi, movimenti, altre piccole formazioni anticapitaliste che insieme, tuttavia, non raggiungono ancora quella massa critica sufficiente ad organizzare una resistenza vera al potere del capitale.

Rispetto a tutto ciò vi è chi, contro il progetto dell’unità delle forze comuniste e anticapitaliste, pone (nell’obiettivo non innocente di esasperare le differenze, piuttosto che cucire i punti di unità) questioni di tipo ideologico, filosofico, politico; questioni in giuste, nel senso che rimandano ai problemi del processo unitario. Ma il punto è che di fronte al pericolo che viviamo chi si schiera contro questa unità ricorda i teologici di Bisanzio che nei giorni dell’assedio discettavano sul sesso degli angeli.

Vi è invece un obiettivo da cogliere: dare speranza e organizzare il popolo comunista e anticapitalista disperso nella diaspora. Centinaia di migliaia sono le comuniste/i che sono uscite/i – delusi - dai due partiti comunisti maggiori; altri sono micro organizzati in un pulviscolo rosso. Di fronte a ciò, abbiamo un compito: ricostruire un intento unitario, una nuova passione che possa riaggregare la diaspora, conquistare le giovani generazioni e costruire un partito comunista all’altezza dei tempi, in grado di offrirsi come cardine dell’unità dell’intera sinistra d’alternativa.

Da questo punto di vista va salutata positivamente la scelta del PRC di una lista unitaria (“comunista e anticapitalista”) per le elezioni europee.

Una lista che nasca non come l’Arcobaleno e cioè in un laboratorio politicista, lontano dalle masse, dai militanti e deprivata di simboli e politiche forti; ma nel conflitto sociale condiviso dalle forze comuniste e anticapitaliste che la compongono e attraverso una grande passione popolare che tutti siamo chiamati a costruire.

Per costruire l’unità occorre che nessun soggetto, nemmeno il PRC, si ponga in modo “padronale”.Ciò vale sia per la messa a fuoco della lista che per il simbolo. E vanno apprezzate due parole –chiave che segnano il documento della Direzione del PRC: si dice infatti che Rifondazione promuove la lista unitaria (non che la costruisce da sé) e che il simbolo (che dovrà essere quello della falce e il martello, senza il quale l’Arcobaleno si era suicidato) sarà determinato a partire da quello del PRC; cosa che, inequivocabilmente, vuol dire che alla fine sarà un simbolo diverso da quello di Rifondazione, che potrà rappresentare tutti i soggetti della lista unitaria.

Da tempo poniamo il problema dell’unità dei comunisti. Sappiamo che tale unità non si costruisce in un passaggio elettorale, ma nel conflitto sociale condiviso e nella ricerca politica e teorica aperta, che parta da un’autocritica profonda dei due partiti comunisti maggiori – PRC e PdCI – e che punti a ricostruire un partito comunista all’altezza delle nuove – e spesso ancora sconosciute – contraddizioni capitalistiche. Tuttavia la lista unitaria, che deve unire le comuniste/i già ora nel conflitto sociale, nella campagna elettorale e in un progetto anti Maastricht (dunque anticapitalista e antimperialista) ha le potenzialità per avviare un iniziale percorso unitario dal carattere strategico.

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