mercoledì 6 maggio 2009

Finti democratici, veri bastardi


Raid aerei in Afghanistan: più di 100 morti, tra cui molte donne e bambini

La portavoce della Croce Rossa Jessica Barry parla di un intero villaggio raso al suolo

KABUL - Oltre cento morti, decine di case rase al suolo: in pratica, secondo quanto riferito dal portavoce della Croce Rossa Jessica Barry, e confermato dalla stessa polizia afghana e dalle autorità di governo, un intero villaggio distrutto nella provincia di Farah, in Afghanistan. E, tra le macerie, la stragrande maggioranza dei corpi appartiene a donne e bambini. E' questo il bilancio di diversi attacco aerei delle forze internazionali in Afghanistan, compiuti lunedì e martedì. «Sulla base dei rapporti che abbiamo ricevuto in Parlamento dai residenti e le autorità provinciali oltre 100 abitanti dei villaggi, compresi donne e bambini sono rimasti uccisi» ha detto il deputato della provincia di Farah Mohammad Musa Nasrat. E il collega Obaidullah Hilali ha aggiunto che il bilancio delle vittime può salire ancora «perché molte persone sono ancora sotto le macerie delle case distrutte». «Posso confermare che più di 100 non combattenti sono stati uccisi nel corso di un'operazione nella provincia di Farah», ha detto il capo della polizia Adbul Ghafar Watandar che in un primo tempo aveva parlato di 30 civili uccisi. In un secondo momento, lo stesso capo della polizia, ha precisato che tra nel bilancio totale delle vittime rientrano anche dei guerriglieri uccisi durante i raid.

APERTE DUE INCHIESTE - Il presidente dell’Afghanistan, Hamid Karzai, ha ordinato un’inchiesta sui bombardamenti aereo delle forze della coalizione nella provincia di Farah, costato la vita a moltissimi civili. Karzai è intanto giunto a Washington per un vertice alla Casa Bianca con il presidente degli Stati uniti, Barack Obama e con il presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari. Sulla vicenda è stata aperta un'inchiesta anche dal comando americano che, fino alla diffusione della notizia da parte della Croce Rosse, non aveva fatto riferimento ad alcun attacco.

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5 commenti:

Anonimo ha detto...

Continua l'olocausto dei mussulmani. Cambiano i presidenti ma non cambiano gli Usa. Ed ora, ci sono ancora sostenitori dell'abbronzato? gli illusi del Pd, i filoamericani, i servi dell'Impero? oggi finalmente si vergogneranno o continueranno imperterriti coi loro paraocchi?

Anonimo ha detto...

E' vero, la musica in Afghanistan non sta cambiando dopo l'avvento di Obama. Quello che però è decisamente cambiato è l'atteggiamento dei movimentisti in Italia. Non si vede più nulla in giro che provi a parlare di quello che accade, neanche una bandierina della pace (che già non era molto). La depressione ha invaso tutti noi? Non vale più la pena di urlare il nostro dissenso? Ci accontentiamo di parlarne tra noi? O manca la voglia di continuare una battaglia che ci appare perdente e troppo faticosa da portare avanti in pochi? Tempi duri, anche per noi che ci consideravamo "irriducibili" e che stiamo perdendo ogni giorno di più il nostro sano "essere contro", ragionevolmente, sempre. Alberto

emma ha detto...

Non voglio essere così pessimista, Alberto, ho bisogno di credere ancora ngli uomini, nella loro capicità di indignarsi e urlare il proprio dissenso.
Certo che queste notizie non hanno grande rilevanza, non si costruiscono plastici per cercare di capire il perchè di questi attacchi ai civili prima di classificarli come tragigi errori. Il rammarico di circostanza non serve ad impedire nuovi massacri nel tentavivo di esportare la democrazia, costi quel che costi. Quache giorno prima una bimba di 13 anni è morta per " un tragico errore " colpita da soldati italiani...non è ammissibile, le guerre, se devono esserci, non devono includere gli innocenti, colpevoli solo di trovarsi nel posto sbagliato.

Anonimo ha detto...

A proposito di guerre:

Culturalmente, è più facile spingere gli uomini alla guerra che alla pace. Nel corso della storia, l’Umanità è sempre stata portata a considerare la guerra come il mezzo più efficace per la risoluzione dei conflitti, e da sempre coloro che governano hanno utilizzato i brevi intervalli di pace per preparare le guerre future. Ma è sempre stato in nome della pace che sono state dicharate tutte le guerre. É sempre per garantire un domani di pace ai figli che oggi vengono sacrificati i genitori…

Questo si dice, questo si scrive, questo si fa credere, affinché si sappia che l’uomo, nonostante sia storicamente educato alla guerra, porta nel suo spirito un costante bisogno di pace. Per questo la si usa molte volte come mezzo di ricatto morale verso quelli che vogliono la guerra: nessuno oserebbe mai confessare che fa la guerra per la guerra, giurano, invece, di fare la guerra per la pace. Per questo tutti i giorni e in tutte le parti del mondo è ancora possibile che uomini partano per la guerra, continua a essere possibile che lei vada a distruggerli nelle loro case.

Ho parlato di cultura. Forse sarei più chiaro se parlassi di rivoluzione culturale, anche se sappiamo trattarsi di una espressione logora, molte volte persa in progetti che l’hanno snaturata, consumata in contradizioni, sviata per intraprendere avventure che hanno finito per servire gli interessi radicalmente opposti a lei. Nel frattempo, queste agitazioni non sempre sono state vane. Si sono aperti spazi, allargati gli orizzonti, nonostante mi sembri che oramai è più che tempo per comprendere e proclamare che l’unica rivoluzione veramente degna di questo nome sarebbe la rivoluzione della pace, quella che trasformerebbe l’uomo portato in guerra in uomo educato alla pace perchè per la pace sarebbe educato. Questa, sì, sarebbe la grande rivoluzione mentale, e quindi culturale, dell’Umanità. Questo sarebbe, infine, il tanto annunciato uomo nuovo. (José Saramago)

Anonimo ha detto...

Se avessimo il tempo per parlare con calma di quello che accade, potremmo anche raggiungere un accordo sulle cose da fare. Il problema è che intanto, ogni giorno, se ne vanno vite di ignari innocenti, si sciolgono come neve al sole, mentre noi siamo lì a chiederci cosa è meglio o non è meglio fare per incidere, in qualche modo, nelle cose che accadono. La frustrazione è grande; l'impotenza lo è ancora di più. Eppure, smettere di pensare a cosa fare significa rassegnarsi, ma passare tutto il tempo a pensare cosa fare, senza però fare nulla, significa rassegnarsi agli eventi in modo totale. Direi che vale la pena di ricominciare dai comitati per la pace (o contro la guerra), permanenti e attivi, dentro e fuori i partiti senza nessun problema e senza nessuna preclusione. Ma presto, prima che passi anche la voglia di considerarsi esseri pensanti. Marco.