martedì 30 giugno 2009
Iran, come volevasi dimostrare...
sabato 27 giugno 2009
La bufala delle "elezioni rubate"
La parola al popolo iraniano
La bufala delle "elezioni rubate"
Massimo Fini
La pena di morte c'è in più della metà degli Usa. In Iran hanno votato scgliendo liberamente con larga maggioranza.
In Italia sotto il fuoco della polizia sono morte decine e decine di manifestanti, questo senza scomodare Carlo Giuliani.
Riguardo la democrazia:
Gandhi nel 1940 scriveva che «la democrazia occidentale, nelle sue attuali caratteristiche, è una forma diluita di nazismo o di fascismo»
Ed io la penso come Gandhi. Difatti sono nell'ultimo raid fatto dagli Usa in Afghanistan sono morte cento persone, in gran parte civili, sempre in nome e per conto della stessa democrazia di cui parlava Gandhi.
Riguardo i popoli, non mi sembra che in Iran ci sia la Resistenza, non vedo partigiani. E poi, come scriveva Jack London:
[...] Non aggiungerò che poche parole conclusive. La libertà, l’indipendenza sono beni supremi che non possono essere accordati o imposti a razze e classi. Se le razze e le classi non sono capaci di sollevarsi, di lottare con la forza del loro spirito e dei loro muscoli per la libertà e l’indipendenza del mondo, non riusciranno mai, quando verrà il momento, ad accedere a quei beni supremi – e se quei beni supremi saranno loro offerti con condiscendenza, su un piatto d’argento, da individui superiori, non sapranno che farsene, non se ne serviranno e resteranno ciò che sono sempre state in passato: razze inferiori, classi inferiori.
venerdì 26 giugno 2009
Ma Ahmadinejad è quello cattivo...
Sempre più massiccio l'utilizzo di aerei senza pilota nelle zone tribali del pakistan
Razzo Usa sulla folla al funerale, 83 morti
Il missile è stato sparato da un drone; in mattinata con lo stesso metodo era stato ucciso un capo talebano
Qui
martedì 23 giugno 2009
Una vittoria da cui ripartire
domenica 21 giugno 2009
Antropologicamente diversi (per nostra fortuna)
martedì 16 giugno 2009
Da che pulpito...
IL CASO. "Cittadinanzattiva" studia il lavoro degli onorevoli
Alle Camere radicali e Italia dei valori sono i più stakanovisti
Parlamento, la classifica dei fannulloni
"I più inefficienti sono sui banchi della destra"
Donne più operose degli uomini: Napoli maglia rosa alla Camera e Poretti al Senato
di CARMELO LOPAPA
Il primo anno si archivia così, con insufficienze a go-go: poco presenti, poco attivi, poco propositivi. Con gli onorevoli di opposizione a salvare la faccia. Le donne, come sempre, meglio degli uomini. E col dato più avvilente a fare da sfondo: un Parlamento ormai in ginocchio, ridotto a ratificare decisioni già adottate a Palazzo Chigi: in un anno, 61 ddl presentati dall'esecutivo trasformati in legge (90%), a fronte dei soli 7 di iniziativa parlamentare (10%).
La fotografia dei primi dodici mesi di vita delle Camere l'ha scattata l'"Osservatorio" composto da Cittadinanzattiva (movimento che dal '78 promuove i diritti dei cittadini e dei consumatori), Controllo cittadino e Openpolis. Le 32 pagine del rapporto 2008-2009 sulle attività parlamentari - che sarà presentato oggi - misurano con grafici e classifiche l'efficienza di gruppi e singoli. Un "indice di attività" elaborato in base a una serie di parametri: quante volte ogni parlamentare è stato primo firmatario o cofirmatario di un atto legislativo o ispettivo, quante volte relatore di un progetto di legge, quante volte è intervenuto in aula o in commissione, quante volte presente alle votazioni. Cosa si scopre? "Emerge molto chiaramente che i deputati dell'Italia dei valori sono i più attivi tra tutti i gruppi presenti alla Camera", su una scala da 0 a 10, la loro media di attività si attesterebbe attorno al 3,57. Sotto la sufficienza, ma meglio degli altri. Seguiti dal gruppo della Lega (2,67) e dal Pd (2,65).
Stesso discorso al Senato, anche lì in testa i dipietristi, seguiti però da Udc e Pd. In entrambi i rami del Parlamento, il principale gruppo di maggioranza, il Pdl, ha raccolto il grado di efficienza più basso, ultimo alla Camera (2,01) e penultimo (seguito dal solo misto) al Senato (0,67). Quozienti che si invertono, ed è facile immaginare il perché, se si passano ai raggi x le presenze in occasione delle votazioni: essendo la gran parte dei ddl di origine governativa, ecco che i deputati del Pdl sono risultati presenti all'83% delle votazioni, i leghisti all'86, i democratici all'81. Le donne hanno un indice di attività medio di 2,7, mentre gli uomini si fermano al 2,2. Tra le senatrici e i senatori "la differenza è ancora più marcata: le prime hanno un indice di attività di oltre 3 punti, mentre i senatori sono al 2". Stesso discorso per le presenze.
E come alla fine di ogni anno scolastico che si rispetti, Cittadinanzattiva ha affisso i quadri con promossi e bocciati. Classifiche elaborate, anche queste, sulla base di quei criteri (presenze, firme agli atti, interventi, votazioni). Ed ecco allora la pidiellina Angela Napoli in testa ai virtuosi, affiancata dalla senatrice radicale-Pd Donatella Poretti (entrambe con un bel 10 per indici di attività). Maglia nera tra i "bocciati", invece, al coordinatore del Pdl Denis Verdini alla Camera e al senatore (anche lui pdl) Marcello Pera, che di Palazzo Madama è stato presidente. "È la prima volta che i cittadini accendono un faro sui lavori del Parlamento, basato su dati incontrovertibili e pubblici - spiega Antonio Gaudioso di Cittadinanzattiva - . È giunto il momento che gli elettori si assumano la responsabilità di verificare le attività delle istituzioni, tanto più utile nel momento in cui viene a mancare il rapporto diretto con gli eletti, ormai semplici nominati".
(16 giugno 2009)
domenica 14 giugno 2009
Un borghese piccolo piccolo
Ma non voleva che il figlio Nichi diventasse comunista, "non prima di aver conseguito la laurea", racconta lo stesso esponente del PRC. E prosegue: lo "zio mi diceva di leggere la Bibbia, perché un comunista non deve avere paraocchi deve viceversa spaziare nel tempo e nello spazio, deve coltivare più dubbi che certezze, deve essere sempre curioso e possibilmente anche allegro" ("Liberazione" del 24 ottobre 1999). Ancora oggi Vendola sostiene che "Il libro più importante per un comunista come me è la Bibbia".
Si può facilmente capire dunque perché Vendola alla trasmissione "L'Infedele" di sabato 22 gennaio si è così descritto: "Ho avuto un'educazione cattolica non comunista. Comunque sono un comunista particolare: ho condannato Stalin, i gulag e le foibe e sono fautore della nonviolenza".
Vendola si iscrive alla Fgci, l'organizzazione giovanile del PCI, già a 14 anni, nel 1972. Si laurea in lettere e filosofia discutendo una tesi su Pierpaolo Pasolini. Diventa giornalista professionista. è fra i promotori dell'Arcigay e della Lila (Lega italiana lotta all'Aids). Nel 1985, si trasferisce a Roma, entra a far parte della segreteria nazionale della Fgci diretta da Pietro Folena (con cui condivide le radici cattoliche) e ne diventa il numero due. Insieme a lui c'è un altro pugliese, Franco Giordano. Entrambi diventeranno i pupilli di Bertinotti. Esce dalla Fgci nel 1988 e va a lavorare a "Rinascita" durante la direzione del trotzkista-operaista Alberto Asor Rosa. Nel 1990 entra a far parte del Comitato centrale del PCI. è un gramsciano di destra fino al midollo, antistalinista viscerale. Il suo stesso nome lo testimonia. Battezzato Nicola, viene subito nominato Nichi, in onore di Nikita Krusciov e della sua destalinizzazione.
Proprio in funzione antistalinista e anticomunista rivendica tutta l'esperienza del PCI revisionista da Gramsci, a Togliatti, a Longo, a Berlinguer. Così ripercorre enfaticamente questa esperienza nel 1999 su "Liberazione": "Gramsci già negli anni della carcerazione aveva intuito le degenerazioni della lotta intestina del dopo-Lenin e tutta la sua titanica riflessione ruotò attorno a categorie e temi che erano il contrario dello stalinismo. Togliatti, che nel gelo moscovita visse da dirigente internazionale, tornato dall'esilio inaugurò con vigore la 'via italiana' e il 'partito nuovo': e la sua riflessione approdò allo scandalo di quel 'memoriale di Yalta' che Longo, all'indomani della morte del Migliore, volle pubblicare nonostante la interdizione sovietica. Il dramma ungherese, nel 1956, fu l'ultimo capitolo del legame di ferro tra comunisti italiani e la casa madre russa. Nel '68 l'invasione della Cecoslovacchia fu condannata con energia e il PCI indicò nella 'primavera di Praga', piuttosto che nei carriarmati, un paradigma: il 'socialismo dal volto umano'. Enrico Berlinguer portò a compimento lo strappo con le liturgie terzinternazionaliste e con la soggezione al modello sovietico: del quale vide prima i 'limiti' e gli 'errori' e poi ne intese la natura organicamente totalitaria. Strappò con un tentativo generoso ma troppo presto strozzato, incubato negli anni Trenta nella camera iperbarica dello stalinismo e congelato nella lunga stagione della stagnazione brezneviana. Non strappò la bandiera guardò avanti, ad una 'terza via', che non era l'autostrada liberista di Tony Blair, bensì la ricerca di un'alternativa di società 'oltre' e 'contro' la modellistica ingessata e mortifera del 'socialismo reale"'.
Fondatore del PRC
Non è quindi da posizioni autenticamente comuniste che Vendola nel '91 si oppone allo scioglimento del PCI e fonda, insieme a Garavini, Cossutta e altri, il "Movimento per la rifondazione comunista" che darà poi vita al PRC. Fin da allora egli è un precursore di quello che solo recentemente Rifondazione oserà operare ufficialmente: la rottura aperta con l'esperienza storica del movimento operaio nazionale e internazionale e della dittatura del proletariato, e l'assunzione della strategia della nonviolenza.
Già quando era dirigente della Fgci e redattore del mensile "Jonas" teorizza la "nuova libertà", vagheggia castronerie tipo l'"interdipendenza", il "bisogno di una perestrojka planetaria", la "nonviolenza cervello progettuale della libertà solidale" (relazione al convegno Fgci "Percorsi di nuova libertà" - Venezia 7/8 novembre 1988). Nell'ultimo congresso della Fgci a cui partecipa, nel dicembre '88, accusa il PCI di aver praticato un riformismo "debole".
Nel convegno della poi defunta DP sulla "Nuova sinistra", svoltosi a Milano nell'aprile 1991, attacca i maestri del proletariato da Engels a Stalin, esorcizza la lotta di classe e la dittatura del proletariato. Riconosce alla "Nuova sinistra" il "merito grande" di "aver tenuto aperto uno spazio di 'comunismo eretico"'. E aggiunge: "Ritengo vecchio e di destra un giudizio, che qui ho sentito pronunciare con apparente estremismo, per cui il problema sarebbe la rottura violenta, la conquista del potere. Su questo terreno siamo morti, e comprendendolo possiamo rinascere, a partire da quanto bene diceva il compagno Preve e cioè dalla ripresa in mano di tutti i perché della sconfitta della rivoluzione in Occidente, che fa allontanare Gramsci dal paradigma leniniano della conquista del potere e gli fa costruire la teoria dell'egemonia, dettandogli una lettura della società con la stupenda topografia delle casematte e del come si conquistano".
Il suo antimarxismo-leninismo è netto e furioso. In un'intervista rilasciata al quotidiano craxiano "Avanti!" del 12 dicembre 1991, commentando il primo congresso di fondazione del PRC dichiara: "Credo che sia un fatto salutare che si introduca un elemento di rottura rispetto a qualunque concezione dogmatica delle ideologie: quindi anche la concezione dogmatica del cosiddetto marxismo-leninismo è bene che possa essere fracassata".
Non altrettanto duro lo è con gli ex terroristi cosiddetti "rossi", con molti dei quali, a iniziare da Prospero Gallinari, intrattiene fraterne amicizie. Il 15 marzo 1991 su "il manifesto" riprende un tema a lui caro, quello di "oltrepassare la logica degli 'anni di piombo"'. Lo riprende per dire che non pensa più alle "BR" come "sedicenti" e "nemici, al soldo dei servizi stranieri, camuffati di rosso", ma le attesta come "eversione di sinistra", "fenomeno reale e con basi relativamente di massa". La stessa tesi sostenuta allora da Cossiga.
Nel PRC in un primo tempo ricopre l'incarico di responsabile delle politiche giovanili. Si impegna in prima persona per lanciare il mito del Guevara fra la base di Rifondazione e i giovani di sinistra proprio in contrapposizione ai maestri del proletariato internazionale e alla via universale dell'Ottobre. Nel dicembre '92 promuove a Roma una manifestazione sul tema "Il nostro Ernesto Che Guevara". Così lo racconta su "Liberazione" del 1° gennaio 1993. "Perché il Che? Intanto perché quel giovane medico argentino ha scritto alcune delle pagine più belle e meno scontate della storia del comunismo novecentesco... Abbiamo raccontato del fascino e della lucidità di quel 'piccolo condottiero del ventesimo secolo' che pensò alla guerriglia come ad un processo di riforma sociale, di quel ministro della nuova Cuba in permanente polemica contro ogni degenerazione burocratica... Di quel comunista che rifuggì dalle imbalsamazioni dogmatiche del marxismo, che mise costantemente l'accento sulla soggettività e sul ruolo degli individui nella traduzione in politica, che cercò di coniugare il mutamento delle fasi materiali della società con la costruzione dell''uomo nuovo"'.
Il "comunismo rifondato" di Vendola è insomma pregnato di liberalismo, di anarchismo, di individualismo piccolo-borghese, e persino di misticismo cattolico. "Sento tutto il fascino di un magistero millenario - ha dichiarato a 'Liberazione' del 16 febbraio 2000 -, perché mi sento sfidato e interrogato dal mistero della fede e dalla straordinaria parabola di Cristo crocefisso, perché la speranza nella liberazione umana non può non incrociare la sapienza e l'esperienza della chiesa".
La sua nonviolenza esasperata lo porta anche ad essere un sostenitore convinto della rinuncia alla lotta armata da parte dei popoli sotto il giogo imperialista e capitalista in Chiapas come in Guatemala e altrove. "La guerriglia è stata una delle forme necessitate della ribellione e dell'agire politico. Ciò che conta è che, nel fuoco della lotta guerrigliera, si sono formate forze politiche capaci di giungere alla trattativa e all'accordo, capaci di perseguire con lucida determinazione l'obiettivo del trascendimento della lotta armata a condizione di una pace equa e di un pluralismo effettivo. A parte il penoso caso del narco-terrorismo di matrice polpottiana di Sendero Luminoso, la gran parte delle forze guerrigliere di questo spicchio di mondo ha saputo imporre all'avversario e a sé il passaggio dalla politica delle armi alle armi della politica" ("Liberazione" del 18 gennaio 1997).
sabato 13 giugno 2009
La partita non è chiusa, bisogna resistere e rilanciare, imparando dall’esperienza
La partita non è chiusa, bisogna resistere e rilanciare, imparando dall’esperienza
Intervista a Fosco Giannini, della direrione del PRC e direttore de l'Ernesto
Non si abbandona un progetto strategico solo perché in un passaggio elettorale è mancato lo 0,6% dei voti
Costruzione a sinistra di un vasto fronte sociale e politico di opposizione, con basi di massa, autonomo dalla strategia moderata e compatibilista del Partito Democratico; costruzione di una convergenza unitaria – nella lotta - di tutto il sindacalismo di classe, confederale e di base, in piena autonomia dal progetto adattativo di CISL e UIL e di una parte della CGIL; autonomia e unità dei comunisti, per la ricostruzione processuale del loro partito.
Sono questi i tasselli di un progetto e di un processo in cui le diverse questioni vanno tenute insieme, ma non confuse, vanificate o compresse l’una o nell’altra.
Sono processi distinti, complementari, che in molti casi si intrecciano e si rafforzano a vicenda, a condizione che non vengano confusi l’uno con l’altro, pena il fallimento degli uni e degli altri.
Il nostro sito ha già espresso alcune valutazioni iniziali (tutte da approfondire) sulla dimensione europea del voto del 6-7 giugno. Vuoi provare a mettere a fuoco una prima riflessione sulla dimensione italiana di quel voto, a partire dal non raggiungimento del quorum da parte della lista comunista e anticapitalista?
Sento in primo luogo l’esigenza di proporre a tutte/i i militanti comunisti e della sinistra, ovunque collocati, una lettura severa, rigorosa, ma non disfattista del mancato raggiungimento del quorum. E sento il dovere di chiedere ai dirigenti comunisti ( di ogni livello: di Circolo, di fabbrica, di Federazione e nazionali) di non disorientare, di respingere ogni sentimento di abbandono e delusione ma, al contrario, di sollevare lo stato d’animo, di rincuorare, di richiamare all’impegno e alla lotta. Guai a noi se lasciassimo passare, nonostante le obbiettive (e comprensibili) difficoltà politiche e psicologiche del momento, uno stato d’animo di rinuncia o di resa. Saremmo degli strani rivoluzionari se bastasse uno 0,6% per cento di voti in meno (la cui portata certo non sottovaluto), per farci abbandonare un progetto politico che ha una dimensione strategica, vorrei dire persino una sua proiezione storica.
Se avessero fatto così le poche migliaia di militanti comunisti italiani rimasti a combattere nell’Italia degli anni Venti e Trenta, non vi sarebbe stata alcuna Resistenza popolare negli anni successivi.
Quando parli di un progetto strategico, a cosa ti riferisci concretamente?
In estrema sintesi potrei dirti: ricomporre l’autonomia e l’unità politica, teorica e organizzativa dei comunisti in Italia in un solo partito, come perno e fattore dinamico contestuale – non c’è un prima e un poi – della ricostruzione di un ben più vasto schieramento sociale e politico di lotta per il cambiamento della società.
Ciò significa oggi in primo luogo costruire un fronte sociale e politico di forte opposizione alla politica di questo governo, in piena autonomia dalla politica moderata e compatibilista del Partito Democratico, ma capace di coinvolgere – nella lotta - una parte significativa della sua base sociale popolare, operaia, di sinistra.
Pensi dunque che il Partito Democratico, e le socialdemocrazie europee in genere, siano esposte ad emorragie verso sinistra, oltre che verso destra?
Il voto europeo evidenzia una crisi profonda delle socialdemocrazie, delle sinistre moderate, che va acquisendo caratteri non contingenti, dunque di grande interesse sia per le forze conservatrici (che in questa crisi pescano a piene mani), ma anche – in positivo - per le forze comuniste e anticapitaliste, che in alcuni paesi europei conseguono su questo terreno risultati importanti.
Dove i partiti comunisti (di impianto e cultura leninista) mantengono e sviluppano il loro radicamento e il loro ruolo sociale e politico di classe (penso ad esempio alla Grecia e al Portogallo) si allarga – grazie a questo ruolo – anche uno spazio sociale, politico, anche culturale per una sinistra critica, non comunista (vedi Synaspismos greco e Bloco de Izquierda portoghese) in grado di raccogliere ed organizzare la diaspora socialdemocratica e capace di diventare punto di riferimento per spezzoni di sinistra sociale e politica non immediatamente conquistabili dai partiti comunisti. Tutto il baricentro si sposta a sinistra, poiché anche il movimento sindacale (dove è forte, radicato ed influente un partito comunista) assume caratteri di classe e di lotta.
In Grecia e Portogallo, ad esempio, non solo il voto europeo conferma la tenuta o l’avanzata dei due partiti comunisti, fortemente insediati nelle organizzazioni sindacali e nel mondo del lavoro (il KKE è all’8,4%, il PCP al 10,7); ma evidenzia anche la crescita di due formazioni di nuova sinistra (il Synaspismos raggiunge il 4,7%, il Bloco de Izquierda raddoppia i suoi voti e cresce fino al 10,7%). Ne deriva, complessivamente, una realtà a sinistra della socialdemocrazia, che occupa uno spazio sociale, politico ed elettorale del 15-20%, che spezza il bipolarismo e il bipartitismo, si inserisce nella crisi della socialdemocrazia liberale, e ne insidia l’egemonia a sinistra.
E ciò avviene perché ognuno “fa la sua parte”: i comunisti fanno i comunisti (con i loro limiti, e certo non indico modelli…) e gli altri fanno la loro. Se dovessero fondersi – come qualcuno vorrebbe fare in Italia – in formazioni indistinte “di sinistra”, puoi star certo che sarebbero guai per tutti, ne verrebbero fuori litigiose ed eterogenee formazioni, pronte a dividersi alla prima seria divergenza.
Perché allora questa differenza così marcata tra Portogallo e Grecia, da una parte, e ad esempio Spagna e Italia dall’altro?
Bisognerebbe qui riflettere più a fondo, tentando anche un bilancio storico dell’eurocomunismo e del processo di socialdemocratizzazione dei partiti comunisti di Spagna, Italia e Francia (un processo che viene da lontano). Non è probabilmente un caso se, soprattutto in Spagna e in Italia (più segnati della Francia dall’esperienza eurocomunista) ci troviamo oggi vicini al rischio di estinzione (o autoestinzione) non solo dei partiti comunisti, ma anche delle formazioni di “nuova sinistra”.
Più articolata è la situazione in Francia, dove l’esistenza di un PCF strutturato e ancora “in mezzo al guado”, la persistenza di una sinistra socialista (esterna al PS) più combattiva, e di componenti trotzkiste che hanno mantenuto una loro influenza di massa, fa sì che – diversamente da Italia e Spagna – il campo della sinistra anticapitalistica francese vi esprima complessivamente un’area attorno al 12-13 %, ancorché assai divisa e frastagliata (anche all’interno stesso del PCF, il cui avvenire resta incerto).
In una fase che dura da circa vent’anni, essenzialmente causata dalla ferrea volontà del capitale di non stringere compromessi col mondo del lavoro, di respingere politiche keynesiane puntando all’abbattimento dei salari, dei diritti e dello stato sociale, la crisi della socialdemocrazia liberale europea trova le sue basi materiali nell’impossibilità (e non volontà) di operare – quando governa – una drastica redistribuzione del reddito per fornire risposte sociali anche minime al movimento operaio e ai popoli, duramente colpiti dalla crisi capitalistica e dalle “compatibilità” dei vari capitalismi nella competizione globale.
E senza possibilità di redistribuzione della ricchezza sociale, le socialdemocrazie liberali perdono ruolo sociale e senso storico, entrano in crisi di consenso e di radicamento rispetto al loro insediamento sociale popolare, operaio, più colpito dalla crisi. Si apre qui uno spazio potenziale di consenso, di organizzazione, di lotta, per le forze comuniste e anticapitaliste: ma ciò richiede che la loro forza, credibilità, soggettività sia all’altezza della situazione, e spesso non è così o non lo è stato. E allora, in questi casi, il malcontento dei ceti più poveri va a destra, o si rifugia nell’astensione e in un qualunquismo disfattista.
Che cosa pensi dell’avanzata della Linke tedesca, che molti indicano come una sorta di modello da imitare?
E’ un fatto positivo che
Tale esperienza nasce dal processo di unificazione di due formazioni politiche non comuniste, di ispirazione dichiaratamente socialista e/o socialdemocratica (come
C’è senz’altro una limpida coerenza politico-ideologica, apertamente dichiarata, in questa fusione socialdemocratica di sinistra tra Wasg e PDS, che però ha poco a che vedere con la problematica della rifondazione di un partito comunista, che è altra cosa.
Veniamo ancora all’Italia. C’è chi sostiene che il mancato raggiungimento del 4% rappresenta una sconfitta di fase, che richiede pertanto un mutamento radicale di linea politica. Tu che ne pensi?
Il superamento del 4% sarebbe stato simbolicamente un obiettivo molto importante e con la conquista di alcuni parlamentari europei vi sarebbero state basi materiali e risorse aggiuntive importanti. Tuttavia: se il processo unitario dei comunisti era giusto e necessario prima del voto, se il partito comunista è un’esigenza sociale e storica (come è) e non una coazione a ripetere, una fissazione nella testa di alcuni, tale esigenza non è cancellata dalla mancanza di uno 0,6% di consensi. Saremo obbligati a fare politica meglio, con meno sprechi, ottimizzando l’uso delle risorse.
Le difficoltà che abbiamo trovato sul cammino sono state immense: la lista comunista unitaria è andata alle elezioni sulla scorta di una sconfitta storica, quella dell’Arcobaleno, non ancora “espulsa” dal senso comune del nostro popolo; siamo andati alle elezioni sulla scorta di una pesantissima scissione avvenuta nelle file del PRC, la scissione dell’area Vendola, di Sinistra e Libertà, che ha trovato appoggi importanti sia nel PD che negli stessi “media” borghesi, erodendo consensi ; siamo giunti al voto con l’improvvisa entrata in campo del PCL di Marco Ferrando, che ha eroso anch’esso (disperdendoli consapevolmente) consensi decisivi per il possibile raggiungimento del 4% ; abbiamo assistito alla deplorevole azione di certi “dirigenti comunisti” che per frustrazione e opportunismo hanno vigorosamente lavorato al fine di spostare consensi comunisti verso Di Pietro, per far consapevolmente del male alla Lista comunista; siamo andati al voto sotto una cappa egemonica di destra terrificante e sotto un dominio dei media che ha letteralmente espulso (molto più dei radicali di Pannella) i comunisti dalle televisioni e dai giornali; abbiamo aperto la campagna elettorale in ritardo, rispetto ad altre forze, poiché nel PRC persistevano dubbi e contrarietà rispetto alla Lista comunista unitaria e tali dubbi non hanno certo aiutato a mettere in campo la giusta passione politica per
Infine, vi sono state aree e Federazioni, all’interno del PRC – poco innamorati ( per usare un eufemismo) della Lista unitaria – che sicuramente non si sono dannate l’anima nella campagna elettorale e ciò si è aggiunto alla fragilità organizzativa – che la campagna elettorale ha dimostrato tutta – che segna ormai una parte significativa dell’intero PRC. Con tutto ciò abbiamo raggiunto il 3,4 % su una Lista comunista, più di quanto non avessero ottenuto le forze dell’Arcobaleno nel loro insieme.
Dico tutto questo non per esorcizzare il problema del radicamento dei comunisti in Italia e le loro debolezze strutturali; dico questo affinché non si creda (e non si dica) che la base materiale della sconfitta sia da rintracciare nel progetto unitario che ispirava (e ispira)
Non è il momento di mollare, proprio adesso che abbiamo comunque invertito una tendenza. C’è spazio per ripartire, anche in Italia, come si è visto anche in altri paesi europei.
Che fare dunque, qui ed ora?
Primo: non farci intimorire o deludere dal mancato raggiungimento del 4% e rilanciare con determinazione il progetto dell’unità dei comunisti, della riunificazione dei due partiti comunisti e della riorganizzare della diaspora comunista. A partire da quel milione e 200 mila di persone che ci hanno dato fiducia.
Secondo: lavorare alla costruzione a sinistra di un vasto fronte sociale e politico di opposizione, con basi di massa, autonomo dalla strategia moderata e compatibilista del Partito Democratico. Esso non si costruisce su base ideologiche, ma con un programma minimo d’azione, attorno ad alcuni obbiettivi qualificanti e condivisi, di forte impatto sociale.
Terzo: costruire una convergenza unitaria – nella lotta - di tutto il sindacalismo di classe, confederale e di base, in piena autonomia dal progetto subordinato di CISL e UIL e di una parte della CGIL. Senza una sponda sindacale, l’appello alla mobilitazione sociale organizzata resta una parola vuota.
Quarto: autonomia e unità dei comunisti, per la ricostruzione processuale del loro partito. E ciò è cosa distinta (semmai complementare) dalla costruzione di un “polo di sinistra”; e richiede la strutturazione di suoi peculiari momenti di riflessione teorica, di dibattito politico, di iniziativa nel Paese. Su ciò chiediamo a tutti impegni e pronunciamenti chiari, e non bisticci di parole.
Sono questi, a mio modesto avviso, i tasselli di un progetto e di un processo in cui le diverse questioni vanno tenute insieme, ma non confuse, vanificate o compresse l’una nell’altra.
Sono processi distinti, complementari, che in molti casi si intrecciano e si rafforzano a vicenda, a condizione che non vengano confusi l’uno con l’altro, pena il fallimento degli uni e degli altri.
A cura della redazione, 9 giugno 2009
sabato 6 giugno 2009
Il voto utile
E' giunta l'ora. Votate la lista comunista e anticapitalista, se volete un reale sviluppo completo dell’uomo, invertendo una tendenza atavica d’imposizione del potere. Fatelo in massa.
P.s. L'appello di Ingrao è stato seguito da oltre 200 intellettuali italiani, tra i quali Paolo Rossi, Vauro Senesi, Edoardo Sanguineti e Margherita Hack.
venerdì 5 giugno 2009
Laicismo
Laicismo
di José Saramago
Si fa un gran parlare della questione del laicismo, in termini non molto chiari secondo me, perché sembra si voglia ignorare la questione fondamentale soggiacente al dibattito: credere o non credere nell’esistenza di un dio che, non solo dovrebbe aver creato l’universo e quindi la specie umana, ma che dovrebbe anche diventare, alla fine dei tempi, il giudice delle nostre azioni terrestri, premiando le buone azioni con l’ammissione in un paradiso in cui gli eletti contempleranno il viso del Signore per tutta l’eternità, mentre, sempre per tutta l’eternità, chi ha commesso cattive azioni arderà nell’inestinguibile fuoco dell’inferno. Questo giudizio finale non sarà facile, né per dio né per quelli che dovranno poi farlo per lui, visto che non si conosce un solo caso di qualcuno che, in vita, abbia commesso esclusivamente buone azioni o cattive azioni. Caratteristica dell’uomo è l’incostanza nei propositi e nei fatti, sempre a contraddirsi da un momento all’altro. In tutto ciò, il laicismo mi sembra più una posizione politica determinata ma prudente che l’emanazione di una convinzione profonda sulla non esistenza di dio e quindi sull’impertinenza logica delle istituzioni che pretendono imporre il contrario alla coscienza della gente. Si parla del laicismo perché, in fondo, si teme l’argomento ateismo. Interessante in questo caso, però, è che la chiesa Cattolica, nella sua vecchia tradizione di fare il danno per poi chiedere i danni, continua a lamentarsi di essere vittima di un presunto laicismo “aggressivo”, nuova categoria che le permette di prendersela con tutti fingendo di attaccare una sola parte. La duplicità è sempre stata imprescindibile nelle tattiche e strategie diplomatiche della curia romana.
Bisognerebbe ringraziare la Chiesa Cattolica Apostolica Romana se smettesse di occuparsi di quello che non gli compete, la vita civile e la vita privata delle persone. Non ci si sorprenda però. Alla Chiesa Cattolica importa poco o nulla del destino delle anime, il suo obiettivo è sempre stato quello di controllare i corpi, e il laicismo è la prima porta da cui questi corpi cominciano a scappargli, e di conseguenza gli spiriti, visto che i due vanno sempre e ovunque insieme. Il dibattito sul laicismo non è altro quindi che una prima scaramuccia. Il confronto autentico arriverà quando in fine si opporranno credente e miscredente, portando a chiamare la lotta con il suo vero nome: ateismo. Tutto il resto sono giochi di parole.
mercoledì 3 giugno 2009
Siamo uno stato clericale (op. cit.)
Un docente del liceo scientifico Righi di Cesena punito per aver diffuso un questionario
La maggioranza avrebbe optato per lo studio dei diritti umani e della storia dei culti
Professore sospeso per due mesi
chiese: "Religione o altra materia?"
di SALVO INTRAVAIA
Il fatto è stato denunciato questa mattina dal portavoce dei Cobas, Piero Bernocchi, che bolla l'episodio come "attacco clericale alla laicità della scuola". "Dopo la vicenda di Franco Coppoli, docente di Italiano all'istituto Casagrande di Terni, sospeso per un mese per aver osato staccare il crocifisso nelle sue ore di lezione - continua Bernocchi - questo è l'ulteriore esempio di come la scuola pubblica sia ormai piena di integralismo violento contro chiunque metta in discussione l'invadenza clericale".
Secondo la ricostruzione del portavoce dei Cobas, Marani nei mesi scorsi ha predisposto un questionario che ha fatto compilare ai circa 70 alunni delle sue classi. Ogni studente doveva "indicare quale insegnamento avrebbe scelto fra religione cattolica, storia delle religioni e diritti umani". Un atto, evidentemente, intollerabile visto che l'Ufficio scolastico regionale dell'Emilia Romagna aveva chiesto di sospendere il docente per sei mesi. Soltanto l'intercessione dell'organismo di disciplina del Cnpi (il Consiglio nazionale della pubblica istruzione) ha mitigato la sanzione disciplinare abbassandola a 2 soli mesi.
Il risultato del questionario era stato effettivamente sorprendente: appena l'11 per cento dei ragazzi avrebbe scelto la religione. La stragrande maggioranza avrebbe optato per lo studio della storia delle religioni (il 24 per cento) e soprattutto per quello dei diritti umani (il 65 per cento). Fatto che ha anche indotto il Collegio dei docenti a deliberare "di offrire agli studenti la materia alternativa". Ma non tutti erano d'accordo. Gli insegnanti di religione cattolica hanno lamentato all'Ufficio scolastico regionale che Marani "avrebbe offeso, con quel questionario, il collega di religione". E' scattata così la sanzione, "inaudita e pesantissima", denunciano i Cobas.
L'ispettore che si è recato a scuola per occuparsi della vicenda ha diffidato il docente dal fare conoscere agli alunni i risultati dell'indagine. Aggiungendo una nuova accusa: avere affisso nelle bacheche della scuola, durante il bombardamento di Gaza, cinque immagini di Handala (il bambino palestinese scalzo e sofferente) dopo aver usato "addirittura" la stampante della scuola. Iniziativa considerata "estranea ai suoi compiti professionali".
(2 giugno 2009)