mercoledì 28 gennaio 2009

L'EQUILIBRISTA


«Né con la Cgil, né contro»

Né con la Cgil ma neanche esplicitamente contro. In mezzo, insomma, come ha sempre provato a fare il Piddì in quest'anno e mezzo di vita. In mezzo, ad essere sinceri: un po' più spostati sul «lato» del governo ma sostanzialmente al centro. Si parla, come è facile capire, dell'accordo separato scritto dalla Confindustria e da Sacconi e subito sottoscritto da Cisl e Uil. Senza la Cgil. Un accordo che, com'era facile prevedere, ha finito per squassare quasi esclusivamente il Partito democratico. Una situazione dalla quale, ieri, il segretario Veltroni ha provato a uscire nel solito modo. Inventandosi una sorta di terza strada (appunto: né con la Cgil, né contro): in pillole ha detto che sì, il sistema contrattuale va riformato da cima a fondo e che le risorse andrebbero destinate soprattutto alle vertenze aziendali. Cosa che del resto era messa nero su bianco nel programma elettorale del Piddì. Quindi in linea di massima, il contenuto dell'intesa separata non dovrebbe dispiacere a Veltroni. Solo che, aggiunge il segretario, una riforma di queste dimensioni non si può fare escludendo il più grande sindacato. E allora? Allora ecco la proposta. Che, a ben vedere, è la stessa identica che accompagnò le fasi finali della trattativa per la cessione dell'Alitalia. Il segretario dei democratici insomma chiede un supplemento di trattativa, per consentire il ritorno della Cgil al tavolo. Tutto qui: nessun commento sull'abrogazione del contratto nazionale, nulla neanche sulla possibilità offerta alle imprese di scendere sotto i minimi contrattuali. Veltroni, insomma - come del resto suggeriscono gli uomini del suo staff - pensa solo a chiudere presto la vicenda. Magari suggerendo alla Cisl, alla Uil e alla Marcegaglia di scrivere una paginetta di premessa all'accordo, con dentro anche qualche impegno del governo ad intervenire a sostegno dei redditi e così convincere Epifani a firmare.
Difficile dire se questo basterà alla Cgil. Sicuramente comunque l'escamotage pensato da Veltroni non basterà a mettere la sordina alla discussione interna. Che sta diventando esplicita, come mai forse è accaduto nel Partito democratico. Le tappe che hanno portato a surriscaldare il dibattito interno sono note: ha cominciato D'Alema, spiegando che un'intesa su un argomento di questa portata non può avere valore senza la firma della confederazione più rappresentativa. E in più, l'ex ministro degli Esteri ci ha aggiunto la richiesta che, almeno, l'intesa sia sottoposta al giudizio dei lavoratori, con un referendum. La risposta non s'è fatta attendere. Uno dopo l'altro sono insorti prima Marini, poi via via gli altri ex margheritini che hanno mantenuto uno stretto legame con la Cisl. Fino ad arrivare a Fioroni. Tutti hanno parlato di accordo epocale, hanno denunciato la «scelta politica più che sindacale» operata da Epifani, invitandolo a ripensarci. La contro-reazione a difesa della Cgil, ha fatto salire ancora di più la temperatura: perché ha fatto uscire allo scoperto dirigenti che fino ad allora s'erano tenuti in disparte, come l'ex ministro Damiano, e ha sparigliato le carte. Per dirne una, anche Piero Fassino ha scelto di collocarsi decisamente all'opposizione interna. Almeno su questo tema sta con Bersani, è contro Veltroni. Senza contare che anche nel «fronte cattolico» si sono manifestate le prime defezioni: naturalmente si parla di Rosi Bindi - che ancora ieri sosteneva la necessità non tanto di coinvolgere la Cgil ma di tener conto delle sue obiezioni - ma non solo di lei. Per esempio, tutta la componente che all'epoca dei Diesse si chiamava «Cristiano sociali» non sembra disposta a tollerare lo strappo con la Cgil.
Dunque oggi Veltroni si trova un po' più solo. Incalzato addirittura dagli alleati-concorrenti dell'Idv che all'improvviso sembrano aver scoperto una vocazione sociale. Queste le parole del capogruppo del partito di Di Pietro al Senato, Belisario: «Isolare il maggior sindacato è un errore che il paese non può permettersi». Un po' più solo, allora. E per tutti valgano le parole di Gianni Cuperlo. Deputato, fino a ieri dirigente dei Diesse, che la geografia interna assegna ai dalemiani, anche se ha sempre mantenuto un ruolo autonomo. In ogni caso è un profondo conoscitore di cosa sia davvero questo partito. E Cuperlo ci dice così: «Le responsabilità sono soprattutto del governo, è evidente, perché non si fa un'intesa su argomenti così rilevanti a prescindere, chiudendo la porta in faccia al pezzo più importante del sindacato». Le «colpe» sono del governo, dunque. Ma non solo: «Veltroni anche poco fa ha detto che è normale in un grande partito avere posizioni differenti. Questa discussione avviene però dopo la vicenda di Eluana, avviene dopo le tensioni interne su Gaza. Tutto ci dice allora che è arrivato il momento di affrontare la questione vera, la più seria: è arrivato il momento di discutere del profilo di questo partito. Cosa è, cosa vuole essere». Cuperlo dice di più: «E' arrivato il momento di discutere delle ragioni che ci tengono assieme». Poi aggiunge: «E' arrivato il momento di discutere del "se" dobbiamo stare assieme». Sembra l'inizio di un congresso. E magari stavolta sarà pure vero.


Liberazione del 27.01.2009

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