La sua morte non è stata un’intermittenza, ma un’improvvisa perdita, una repentina mancanza, un immediato e vertiginoso senso di vuoto. Ripensando ad un suo libro e citando Piero Ciampi, da subito la sua assenza è diventata un assedio. Ma poi si riprendono in mano le sue opere, le sue frasi, i suoi scritti disseminati tra libri e giornalismo, stipati nelle proprie librerie o raccolti, trascritti e conservati dentro archivi elettronici, memorie artificiali. Si traccia così un filo di parole inscindibile con l’eternità. Questo perché Saramago appartiene a quella cerchia ristretta di uomini che resistono alla dimenticanza, persistono alla morte e continuano a parlarci senza emettere suoni.
Non riesco a pensare alla fine di qualcosa, non posso concepire la dissoluzione del genio, la definitiva dispersione della mente. Qualcosa rimane, anche oltre i suoi scritti. E non è l’anima di un irreligioso, non potrà mai esserlo. Semplicemente permane la trasformazione chimica di quegli ormoni che ancora determinano ragioni affinché rimanga fieramente comunista. Rimangono quegli ideali sempiterni che erano prima e saranno dopo di noi.
E rimangono le immagini. Il suo volto spesso sorridente, scarno ma deciso. I suoi occhi deduttivi protetti dagli stessi occhiali, e quell’eleganza innata che non ti faceva pesare le cravatte indossate per ritirare i premi o parlare pubblicamente.
Dal profondo del mio cuore erompono sentimenti di infinita riconoscenza verso un compagno che mi prendeva per mano e mi portava con sé, raccontandomi la sua visione eretica del mondo senza fare scandalo. Ho imparato a vedere questo mondo senza gli occhi, come un cieco ho usato gli altri sensi, ho sentito addosso l’orrore dell’umana ignoranza, e l’ho fatto fino al punto di rimpiangere la vista, definitivamente modificata.
Il mistero della scrittura è che in essa non c'è alcun mistero – da Storia dell’assedio di Lisbona.
Ciao, José.
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