Vale per Genova a cinquant'anni dai fatti del 30 giugno. Vale per Pomigliano oggi. «Perché Pomigliano è ovunque ma c'è una sostanza che ha difficoltà a prendere forma», spiega Ferrero a Liberazione . «Raccontare la ribellione è utile per nuove battaglie». Perché la storia è uno dei terreni della battaglia politica, «e se non si affronta questo terreno anche i morti non saranno al sicuro». Piero Aquilino, metalmeccanico della Fiom alla Fincantieri, cita Walter Benjamin che s'è ammazzato per non cadere nelle mani naziste. E rivela che il suo amministratore delegato, «uno dei ragazzi dello zoo di Bettino», un craxiano della Milano da bere, abbia già chiesto alla Cisl un accordo «come a Pomigliano». E' vero, questa storia serve a parlare di adesso. Ferrero ricorda Orwell: «Chi controlla il passato, controlla il futuro». Nel 1960, all'Italsider di Cornigliano, a ovest di Genova, 980 operai su mille avevano la tessera della Cisl in saccoccia. «Il primo ricatto era quello di costringerti a stracciare la tessera del Pci o della Cgil, arrivavi all'ufficio personale che già c'era una scheda preparata dai carabinieri», dice Giordano Bruschi, 85 anni e una memoria che funziona come un motore di ricerca. Però la storia ufficiale, quando ripensa al boom economico, impone una leggenda metropolitana di un paese pacificato e reso prospero dalla Dc e dal padronato. Sembra ieri. Anzi sembra oggi. «Per questo la memoria di certe lotte fa scandalo», riprende Aquilino parlando nella piazzetta incastonata tra il Bisagno e Marassi di fronte allo storico circolo del Prc, tutti lo chiamano al femminile, "la Bianchini". E' da qui che Rifondazione avvia un percorso di iniziative per raccontare i moti popolari che attraversarono l'Italia tra il 30 giugno e il 10 luglio del '60. Da Genova, ieri, fino a Reggio Emilia fra dieci giorni, passando per Palermo e poi anche a Roma: "La Resistenza continua", recita il manifesto che promuove con il disegno di una maglietta a striscie, il simbolo di una generazione che riuscì a scuotere il sindacato, a saldarsi con quella che l'aveva preceduta. Una generazione travolta dall'ondata di revisionismo storico che prova a cancellare il fatto che la democrazia sia una conquista non una concessione. E su questo vuoto di memoria affondano sia le radici dei ricatti padronali che l'indifferenza con cui la gente della Valbisagno, proprio mentre si svolge il convegno, apprende dai vigili che a poche centinaia di metri, dall'altra parte del fiume, 36 ragazzotti di Forza nuova protetti da tre poliziotti ciascuno, tenessero un comizio. Bruno Rossi, portuale ventenne di allora, spiega dal palco della Bianchini ai ragazzi dei centri sociali - che poco prima hanno ribaltato dei cassonetti per contestare i forzanovisti - quanto sia necessario «convincere gli altri, non ci siamo riusciti in pieno nemmeno nel 2001».
Nonostante il solido apparato scientifico - la memoria di Bruschi e l'autore di un libro nuovissimo su quei giorni, Riccardo Navone - l'appuntamento è quanto di meno rituale e richiama continuamente il corteo che da Piazza della Vittoria tornerà il 30 a Piazza De Ferrari.
117 giorni di governo Tambroni lasciarono 12 lavoratori morti nelle strade per mano di poliziotti o di sicari mafiosi, servirono a togliere una tassa ai grandi allevatori, a concedere 12 milioni di pubblicità parastatale al giornale del Msi e a provare l'equiparazione dei repubblichini ai militari di carriera. Eppure il 30 giugno «fu la scossa», ricorda Giuliano Giuliani, ieri tra il pubblico, allora redattore al Calendario del popolo: «Chiesi la tessera del Pci». I salari erano inchiodati ma le borse volavano. L'anno prima, come altre città portuali di tutto il mondo, anche Genova era stata teatro di 40 giorni di sciopero vittorioso. La repressione era stata costante e durissima in tutto il Paese per tutti i mesi precendenti. L'annuncio che il Msi avrebbe tenuto il suo congresso nell'unica città in cui i nazi, dopo un'interminabile biennio di eccidi, s'erano arresi ai partigiani, incendiò la prateria. Anche perché l'avrebbe voluto presiedere Carlo Emanuele Basile, colui che fucilò il tramviere Romeo Guglielmetti per la cui liberazione, il 27 novembre del '43, scoppiò il primo sciopero genovese. E i giovani, che tutti immaginavano come dei teddy-boys cerebrolesi scesero in piazza riconoscendo come unica autorità quella dei partigiani. Quel giorno Adriano Agostino, non aveva la maglietta a striscie ma il vestito buono ché era portiere d'albergo. Tornando a casa s'unì a un gruppo di compagni che preparava i mattoni della grandezza giusta per gli scontri. «E addio al vestito buono». Genova prova a ricordare, mercoledì scenderà in piazza anche se la sconfitta della sinistra pesa su tutti: «Per uscirne - conclude Ferrero - bisogna capirne le ragioni e ricostruire la possibilità di un'alternativa, non ci sono solo quelle prospettate da Marchionne. E avallate da Veltroni».
Nonostante il solido apparato scientifico - la memoria di Bruschi e l'autore di un libro nuovissimo su quei giorni, Riccardo Navone - l'appuntamento è quanto di meno rituale e richiama continuamente il corteo che da Piazza della Vittoria tornerà il 30 a Piazza De Ferrari.
117 giorni di governo Tambroni lasciarono 12 lavoratori morti nelle strade per mano di poliziotti o di sicari mafiosi, servirono a togliere una tassa ai grandi allevatori, a concedere 12 milioni di pubblicità parastatale al giornale del Msi e a provare l'equiparazione dei repubblichini ai militari di carriera. Eppure il 30 giugno «fu la scossa», ricorda Giuliano Giuliani, ieri tra il pubblico, allora redattore al Calendario del popolo: «Chiesi la tessera del Pci». I salari erano inchiodati ma le borse volavano. L'anno prima, come altre città portuali di tutto il mondo, anche Genova era stata teatro di 40 giorni di sciopero vittorioso. La repressione era stata costante e durissima in tutto il Paese per tutti i mesi precendenti. L'annuncio che il Msi avrebbe tenuto il suo congresso nell'unica città in cui i nazi, dopo un'interminabile biennio di eccidi, s'erano arresi ai partigiani, incendiò la prateria. Anche perché l'avrebbe voluto presiedere Carlo Emanuele Basile, colui che fucilò il tramviere Romeo Guglielmetti per la cui liberazione, il 27 novembre del '43, scoppiò il primo sciopero genovese. E i giovani, che tutti immaginavano come dei teddy-boys cerebrolesi scesero in piazza riconoscendo come unica autorità quella dei partigiani. Quel giorno Adriano Agostino, non aveva la maglietta a striscie ma il vestito buono ché era portiere d'albergo. Tornando a casa s'unì a un gruppo di compagni che preparava i mattoni della grandezza giusta per gli scontri. «E addio al vestito buono». Genova prova a ricordare, mercoledì scenderà in piazza anche se la sconfitta della sinistra pesa su tutti: «Per uscirne - conclude Ferrero - bisogna capirne le ragioni e ricostruire la possibilità di un'alternativa, non ci sono solo quelle prospettate da Marchionne. E avallate da Veltroni».
1960 - 2010 Genova, Catania, Licata, Palermo, Reggio Emilia.
Sangue del nostro sangue, Nervi dei nostri nervi
30 giugno 1960
L'MSI, in cerca di legittimazione, organizza il suo congresso nazionale a Genova, città Medaglia d'Oro della resistenza. La popolazione si ribella e scende in piazza a migliaia. Protagonisti sono i portuali, che partecipano agli scontri più duri, i partigiani che prendono le decisioni tattiche, "i ragazzi con le magliette a righe", i più giovani, che per la prima volta si affacciano sulla scena politica. Accanto a loro gli operai di Ponente, gli intellettuali, le donne. Ci saranno scontri durissimi con le forze dell'ordine, morti e feriti.
Il presidente del consiglio, Tambroni, sarà costretto a dimettersi e il governo cadrà. Ma prima di cadere ci saranno altre durissime manifestazione che l'Anpi e la CGIL organizzeranno in tutta Italia. Manifestazioni sulle quali la polizia sparerà senza ritegno uccidendo molti operai, giovani, comunisti.
5 luglio 1960
A Licata, una manifestazione popolare contro il carovita e la mancanza di lavoro è caricata selvaggiamente dalla polizia. Rimane ucciso Vincenzo Napoli, mentre cercava di difendere un bambino tenuto fermo ad un muro e picchiato dai celerini.
7 luglio 1960
A Reggio Emilia, la polizia interviene contro una massa di cittadini che segue, all’esterno del teatro dove si svolge, un comizio contro il governo Tambroni. Per disperdere la folla di circa 20.000 cittadini, oltre ai caroselli con le jeep la polizia apre il fuoco uccidendo Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Emilio Reverberi e Afro Tondelli. 21 risultano i feriti. Viene arrestato, dopo la strage perpetrata dalla polizia, Alberto Bedini. Gli agenti inquisiti saranno assolti definitivamente nel luglio 1960.
8 luglio 1960
A Palermo, il centro è presidiato fin dalle prime ore del mattino dalla Celere per disturbare lo sciopero generale proclamato dalla Cgil. Alle violente cariche i dimostranti rispondono. Restano uccisi Francesco Vella, organizzatore delle leghe edili, mentre soccorre un ragazzo colpito da un lacrimogeno, Giuseppe Malleo, Rosa La Barbera e Andrea Cangitano di 18 anni, non si sa se da poliziotti o mercenari. Una manifestazione indetta alle 18 davanti a municipio, questura e prefettura viene respinta con l'impiego di armi da fuoco. Gli scontri continuano fino a notte, seguiti da rastrellamenti e pestaggi dei fermati. Bilancio: 300 fermi, centinaia di feriti e contusi, 40 persone medicate per ferite da armi da fuoco.
8 luglio 1960
A Catania, nel corso dello sciopero contro il governo Tambroni, le forze di polizia caricano i manifestanti con lancio di candelotti lacrimogeni. Un edile disoccupato, Salvatore Novembre, rimasto isolato viene massacrato a manganellate e finito a colpi di pistola. Altri 7 manifestanti rimangono feriti.
Sangue del nostro sangue, Nervi dei nostri nervi
30 giugno 1960
L'MSI, in cerca di legittimazione, organizza il suo congresso nazionale a Genova, città Medaglia d'Oro della resistenza. La popolazione si ribella e scende in piazza a migliaia. Protagonisti sono i portuali, che partecipano agli scontri più duri, i partigiani che prendono le decisioni tattiche, "i ragazzi con le magliette a righe", i più giovani, che per la prima volta si affacciano sulla scena politica. Accanto a loro gli operai di Ponente, gli intellettuali, le donne. Ci saranno scontri durissimi con le forze dell'ordine, morti e feriti.
Il presidente del consiglio, Tambroni, sarà costretto a dimettersi e il governo cadrà. Ma prima di cadere ci saranno altre durissime manifestazione che l'Anpi e la CGIL organizzeranno in tutta Italia. Manifestazioni sulle quali la polizia sparerà senza ritegno uccidendo molti operai, giovani, comunisti.
5 luglio 1960
A Licata, una manifestazione popolare contro il carovita e la mancanza di lavoro è caricata selvaggiamente dalla polizia. Rimane ucciso Vincenzo Napoli, mentre cercava di difendere un bambino tenuto fermo ad un muro e picchiato dai celerini.
7 luglio 1960
A Reggio Emilia, la polizia interviene contro una massa di cittadini che segue, all’esterno del teatro dove si svolge, un comizio contro il governo Tambroni. Per disperdere la folla di circa 20.000 cittadini, oltre ai caroselli con le jeep la polizia apre il fuoco uccidendo Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Emilio Reverberi e Afro Tondelli. 21 risultano i feriti. Viene arrestato, dopo la strage perpetrata dalla polizia, Alberto Bedini. Gli agenti inquisiti saranno assolti definitivamente nel luglio 1960.
8 luglio 1960
A Palermo, il centro è presidiato fin dalle prime ore del mattino dalla Celere per disturbare lo sciopero generale proclamato dalla Cgil. Alle violente cariche i dimostranti rispondono. Restano uccisi Francesco Vella, organizzatore delle leghe edili, mentre soccorre un ragazzo colpito da un lacrimogeno, Giuseppe Malleo, Rosa La Barbera e Andrea Cangitano di 18 anni, non si sa se da poliziotti o mercenari. Una manifestazione indetta alle 18 davanti a municipio, questura e prefettura viene respinta con l'impiego di armi da fuoco. Gli scontri continuano fino a notte, seguiti da rastrellamenti e pestaggi dei fermati. Bilancio: 300 fermi, centinaia di feriti e contusi, 40 persone medicate per ferite da armi da fuoco.
8 luglio 1960
A Catania, nel corso dello sciopero contro il governo Tambroni, le forze di polizia caricano i manifestanti con lancio di candelotti lacrimogeni. Un edile disoccupato, Salvatore Novembre, rimasto isolato viene massacrato a manganellate e finito a colpi di pistola. Altri 7 manifestanti rimangono feriti.
1 commento:
Come quasi sempre, Ferrero inappuntabile. Chi lo critica non è un buon comunista, deves'essere qualcuno rimasto legato ai vecchi schemi, quelli della critica perenne, perché è più facile criticare che mandare avanti un partito.
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