mercoledì 1 settembre 2010

L’imprescindibile bertinottismo, o berlusconismo di sinistra


Leggendo e rileggendo, con stupore misto a imbarazzo, l’articolo di Alberto Burgio su Liberazione del 28/08 scorso ho avuto una visione del futuro come un precognitivo e veggente freak di un libro di Philip K. Dick. E ho visto il putridume, lo stesso che vedeva Manfred su Noi marziani.

Poi mi sono riletto alcuni manoscritti economico-filosofici di Marx del 1844 (Marx, non la Bibbia, il libro formativo del Vendola cattolico), in particolare quello sul denaro, e sui desideri indotti da esso. “Chi può comprare il coraggio, è coraggioso anche se è vile.” Ecco, mi sembrava calzante, cioè l’idea di qualcosa che diventi imprescindibile semplicemente perché qualcuno - una pseudo élite di sinistra? – vuole che lo sia, che lo diventi, ed ha il potere ed i mezzi per farlo. Quindi, siccome può “comprarsi” (lo ricordo spesso ospite gradito da Santoro, un po’ dopo l’innamoramento deluso per Di Pietro, mentre i comunisti, al tempo ancora con partiti più numerosi, non li invitava più nessuno) la sua imprescindibilità, allora è imprescindibile anche se non lo è. E questo addirittura a prescindere dal passato, anche prossimo. Nessuna capacità di pensare storicamente, i ricordi svaniscono, le divisioni e le sconfitte diventano quadri lontani, sbiaditi, forse sognati.

Inoltre in questo articolo si citano i disastri veltroniani, ma si scordano, volutamente, quelli vendoliani. Non solo si dimenticano una scissione “pilotata” e un’amicizia malcelata tra gli stessi Veltroni e Vendola (le “V” come vendetta d’una FGCI di lungo corso), ma si depenna il mancato ingresso in Parlamento per colpa di una divisione voluta da un bertinottiano che punta i piedi come un bimbo viziato e dispotico, che non accetta di non essere al centro dell’attenzione - nel caso specifico non si accetta l’esito di un Congresso democratico.

Senza una reale motivazione plausibile, il Burgio continua ad appellare Vendola come compagno - forse di giochi, non so -, e continua ad aggrapparsi ad un’unità a sinistra del PD che lo stesso Vendola ha contribuito a minare, dato che egli per primo è stato la testa di ponte del veltronismo per spazzare via i cosiddetti “cespugli”. Quindi, non bastanti di ciò, il Burgio ci vorrebbe attaccati ancora alle sottane di madri degeneri, che hanno ferito i propri figli, che hanno tradito i propri compagni, che loro oggi non sono più.

Con una miopia senza precedenti si vuole pensare a socialdemocrazie differenti, quando esse invece sono tutte uguali, come uguali sono i capitalismi, figli del dio denaro. Se non sei più comunista sei capitalista. Punto. Si immaginano scenari che vedono i partiti comunisti rialzarsi, riproporsi decisivi, tornare ad essere egemonici e resistere alla dissoluzione attraverso la ricerca imprescindibile di un interlocutore che tutto ha fatto per superare l’ideale comunista e che tutto ha fatto per spaccare a sinistra del PD, agevolando quest’ultimo nel tentativo, oggi riuscito, di cacciare dai Parlamenti le forze comuniste che potevano dar fastidio, facendo reale opposizione. Anche i poteri che rappresentano queste socialdemocrazie non sono dissimili da quelli berlusconiani, che anzi spesso s’intrecciano, tra massonerie e Opus Dei. Il problema non è Berlusconi, ma i poteri trasversali che lo alimentano, e che alimenterebbero tranquillamente altre forze politiche.

In ultimo, non vedo un’analisi sui personalismi, non leggo pensieri che colgano la concezione di uomo-partito che c’è in Vendola, la stessa concezione che c’è in Berlusconi, o addirittura in Di Pietro. Partiti che si reggono su di una sola persona, volantini politici che fanno espresso riferimento ad un unico nome, iniziative sempre ed unicamente in riferimento a quest’unico nome, addirittura attività politiche attraverso pseudo fabbriche che portano con sé sempre e solo lo stesso unico nome. Manca solo la rivisitazione di un motto come “Meno male che Silvio c’è” in “Meno male che Nichi c’è”. A quel punto il berlusconismo di sinistra potrebbe esplicarsi completamente, uscire allo scoperto, prendersi le proprie rivincite sull’originale di destra. E portarci direttamente alla sparizione, al putridume che sarà.

Questo partito ancora porta con sé gli strascichi del bertinottismo, e non se ne vuole liberare, quasi come avesse perso una sua identità, minata da un logoramento dell’ideale e dalle sconfitte, che però non sono in nome del comunismo ma solo in quello, appunto, del bertinottismo.

Saluti comunisti.

Simone Tizi, Segratario del Circolo di Fermo del PRC

Inviato a Liberazione il 30/08/2010

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