sabato 16 agosto 2008

Avrei preferenza di no



Disquisendo su quali siano quelle letture che si abbandonano e si riprendono per tutta la vita, difficoltose ed impervie, spesso insormontabili, mi è tornato alla mente un racconto che è l'esatto contrario: lo leggi tutto d'un fiato, e ti rimane da subito dentro, per sempre. Parrà strano che tra balene bianche e capitani Achab, trascinati nell'abisso dalla loro stessa ossessione, di un autore come Melville si ricordi con più fervore un piccolo libro di appena un centinaio di pagine. Eppure è così.

Raramente mi è capitato di innamorarmi senza scampo del personaggio di un libro. Raramente mi sono sentito elettivamente così vicino ad una creatura che abita il mondo cartaceo dei sogni. E raramente premendo le mani sul viso, ho rivisto attraverso quel buio, come impressa indelebilmente, una sola e laconica frase pronunciata e reiterata fino alla nausea.

La frase è "avrei preferenza di no" (I would prefer not to), e ad enunciarla è Bartleby, lo scrivano.

In risposta ad un'inserzione, un immobile giovanotto comparve un bel mattino sulla soglia del mio ufficio, essendo la porta aperta perché s'era d'estate. Rivedo ancora quella figura, scialba nella sua dignità, pietosa nella sua rispettabilità, incurabilmente perduta! Era Bartleby.

L'apologia del "disattivismo", la ribellione ai ritmi della Wall Street dell'epoca, l'irrazionalità contagiosa, l'ingenuo nichilismo.

Immaginate la mia sorpresa, meglio la mia costernazione, quando senza muoversi dal suo privato, Bartleby con voce singolarmente mite, ma ferma, replicò: "Avrei preferenza di no".

Uno dei libri dell'ottocento fondamentali per il novecento, assieme a Memorie del sottosuolo di Fëdor Dostoevskij.

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