Ha governato per 30 mesi avendo tutti i media del paese contro. Ha governato per due anni e mezzo con l’Ambasciata degli Stati Uniti tramandogli contro e con un’opposizione eversiva e razzista che considera intollerabile che lui, un indio, governi il paese. Gli hanno impedito di fare campagna elettorale, e minacciandolo costantemente di morte, perfino di entrare in varie regioni. Eppure lui, Evo Morales, il presidente indigeno della Bolivia, ha aumentato di quasi mezzo milione i voti presi nel 2005, passando da un già straordinario 54% a un plebiscitario 64% di consensi.
Se si pensa che, nel solo anno 2007, l’agenzia governativa statunitense USAID ha speso 124 milioni di dollari per destabilizzare il governo boliviano, finanziare l’opposizione, e fomentare la secessione, il risultato del referendum revocatorio di domenica in Bolivia, che ha visto riconfermare Evo Morales addirittura aumentando del 10% i propri voti, rappresenta un risultato storico per il paese e per tutta l’America latina integrazionista. Ancora una volta nel Continente, il potere dei soldi, la volontà delle multinazionali e di governi come quello statunitense o spagnolo e il controllo totale dei media da parte delle oligarchie locali, non ha potuto trionfare.
Evo Morales perciò esce dal referendum revocatorio indubbiamente rafforzato sia politicamente che come leader nazionale e regionale. L’opposizione, che ha fatto dell’autonomismo la foglia di fico dietro la quale conservare i privilegi delle minoranze bianche e ricche, ha perso due dei sei prefetti (governatori ) che aveva, vedendo circoscritta almeno parzialmente la sua area di influenza.
Tuttavia, l’opposizione stessa ha immediatamente rilanciato, dimostrato che non intende fare un solo passo indietro e che il lugubre slogan di “tumbar el indio”, “seppellire l’indio”, continua ad essere il cuore, se non l’unico punto, del proprio programma politico. Mentre il presidente Morales tende la mano ai prefetti confermati, invitandoli a garantire la legalità e a trovare la maniera di conciliare gli statuti autonomisti (illegali) con la nuova Costituzione approvata dall’Assemblea costituente, dall’opposizione i toni sono tutt’altro che concilianti. Il prefetto di Cochabamba, che è tra i revocati dal voto popolare, si rifiuta di riconoscere il risultato e apre una crisi potenzialmente violenta per la propria rimozione. Quello di Santa Cruz, che invece è stato riconfermato, prepara un corpo di polizia autonomo imperniato sulle bande neofasciste della Unión de la Juventud Cruceña (UJC) e intima al governo di non fare alcun passo per far entrare in vigore la nuova costituzione. Sarebbe la secessione strisciante.
A questo punto è evidente che la maggioranza è di fronte alla necessità di ristabilire comunque la legalità repubblicana rispetto all’eversione rappresentata da un’opposizione che lavora per il Re di Prussia statunitense per dividere il paese e impedire il cambiamento democratico. E’ necessario far valere il risultato straordinario del referendum revocatorio, che dimostra che Evo Morales è il presidente di tutti i boliviani e che ha dalla sua uno straordinario appoggio popolare, e avanzare con l’entrata in vigore della nuova Costituzione che sposterà gli equilibri e permetterà la riforma agraria e la redistribuzione delle rendite delle principali ricchezze del paese.
Un presidente che di fronte alla violenza generalizzata della destra rinuncia a poter viaggiare in varie regioni del paese (che è quello che è successo in questa campagna elettorale) resta un presidente dimezzato. I movimenti sociali, le grandi maggioranze, la piazza è con Evo. Il revocatorio ha dimostrato che è giunto il momento della controffensiva.
Fonte: www.gennarocarotenuto.it
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