mercoledì 24 settembre 2008

Goy



Vorrei parlare del termine ricorrente nella cultura ebraica, non ultimo nei romanzi di Roth o Malamud: goy. E' impressionante come un presunto popolo usi un termine per individuare i non ebrei. E non stiamo parlando dell'equivalente di straniero, siamo oltre l'uomo bianco e l'uomo nero, siamo nel campo di ebreo o non ebreo, ed è terrificante. Credo sia la più alta forma di razzismo mai verificatasi nell'occidente. Per approfondire l'argomento riporto un estratto del libro dell'ultimo dei grandi profeti (definito così da Gore Vidal): "Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni", Israel Shahak:

Capitolo I
Se non si mette in discussione il prevalente atteggiamento ebraico nei confronti dei non ebrei, non è dato capire neppure il concetto stesso di «stato israeliano» (Jewish State), come Israele preferisce definirsi. La generalizzata mistificazione che, senza considerare il regime apartheid dei territori occupati, definisce Israele come una vera democrazia, nasce dal rifiuto di vedere cosa significa per i non ebrei lo «stato israeliano». Sono convinto che Israele in quanto Jewish State è un pericolo non solo per se stesso e per i suoi abitanti, ma per tutti gli ebrei e per gli altri popoli e stati del Medio Oriente e anche altrove. Sono altresì convinto che altri stati o entità politiche del Medio Oriente che si proclamano «arabi» o «musulmani», definizioni analoghe a quella di «stato israeliano», rappresentano anch'essi un pericolo. Comunque mentre di quest'ultimo pericolo tutti ne parlano, quello implicito nel carattere ebraico dello Stato d'Israele è sempre taciuto e ignorato. Fin dalla sua fondazione, il concetto che il nuovo Stato d'Israele era uno «stato israeliano» fu ribadito da tutta la classe politica e inculcato nella popolazione con ogni mezzo.

Nel 1985, quando una piccola minoranza di ebrei cittadini d'Israele contestò questo concetto, il Knesset, approvò a stragrande maggioranza una legge costituzionale che annulla tutte le altre leggi che non possono esser revocate se non con procedura eccezionale. Si stabilì che i partiti che si oppongono al principio dello «stato israeliano», o propongono di modificarlo per via democratica, non possono presentare candidati da eleggere al Parlamento, il Knesset. Personalmente, io mi sono sempre opposto a questo principio costituzionale e quindi, in uno stato di cui sono cittadino, non posso appartenere a un partito di cui condivido il programma a cui è vietato eleggere i suoi, rappresentanti al Knesset.

Basterebbe questo esempio per dimostrare che Israele non è una democrazia, visto che si fonda sull'ideologia israeliana ad esclusione non solo di tutti i non ebrei ma anche di noi ebrei, cittadini d'Israele, che non siamo disposti a condividerlo.
Comunque il pericolo rappresentato da questa ideologia dominante non si limita agli affari interni, ma permea di sé tutta la politica estera d'Israele. E tale pericolo sarà sempre maggiore via via che il carattere israelitico d'Israele si accentuerà sempre più e crescerà il suo potere, particolarmente quello nucleare. Un'altra ragione per preoccuparsi è l'aumentata influenza d'Israele sulla classe politica degli Stati Uniti e per questi motivi oggi non è solo importante ma, addirittura politicamente vitale, documentare gli sviluppi del giudaismo e specialmente il modo di trattare i non ebrei da parte d'Israele.
Consideriamo la definizione ufficiale del termine «israeliano», che chiarisce la differenza di fondo tra Israele come «stato israeliano» e la maggioranza degli altri stati. Dunque, secondo la definizione ufficiale, Israele «appartiene» solo a quelle persone che le autorità israeliane definiscono appunto «israeliane», indipendentemente da dove vivono. Al contrario, Israele non «appartiene» giuridicamente ai suoi cittadini non ebrei, la cui condizione è ufficialmente considerata inferiore.

In realtà, questo vuol dire che se i membri di una tribù peruviana si convertono al giudaismo e così sono definiti e considerati, come ebrei hanno immediatamente diritto alla cittadinanza israeliana e a sistemarsi in circa il 70% delle terre occupate del West Bank, e nel 92% dell'area vera e propria d'Israele, destinate all'uso dei cittadini ebrei. A tut­ti i non ebrei, e quindi non soltanto ai palestinesi, è proibito usufruire di queste terre, e il divieto riguarda persino i cit­tadini arabi d'Israele che hanno combattuto nell'esercito israeliano e raggiunto anche gradi assai elevati.
Alcuni anni fa, scoppiò il caso dei peruviani convertiti al giudaismo. Ad essi furono assegnate terre nel West Bank vi­cino a Nablus, zona da cui sono esclusi i non ebrei. Tutti i go­verni d'Israele sono stati e sono pronti ad affrontare qualsiasi rischio politico, tra cui la guerra, perché gli insediamenti del West Bank restino sotto la giurisdizione «israeliana» come è affermato continuamente nei media, che sanno perfettamen­te di diffondere una menzogna, decisiva a coprire l'ambiguità discriminatoria dei termini «ebreo» e «israeliano».

Sono sicuro che gli ebrei americani o britannici accuse­rebbero subito di antisemitismo i governi degli Stati Uniti, o dell'Inghilterra, se questi decidessero di definirsi «stati cristiani», cioè stati che «appartengono» solo a cittadini de­finiti ufficialmente «cristiani». Conseguenza di una simile dottrina sarebbe che, solo se si convertissero al cristianesi­mo, gli ebrei diventerebbero cittadini a pieno diritto e, non dimentichiamolo mai, proprio gli ebrei, forti dell'esperien­za di tutta la loro storia, sanno quanto grandi fossero i be­nefici per chi si convertiva al cristianesimo...

Qui

1 commento:

Maurone ha detto...

A Roma gli ebrei chiamano i non ebrei "chiusi", in quanto non hanno circoncisi.
L'ho scoperto leggendo "Con le peggiori intenzioni" di Alessandro Piperno.
Un ritratto duro e decandente dell'alta borghesia ebraica e non...