martedì 30 dicembre 2008

Gaza: fermiamo la guerra. Subito!


Gaza: fermiamo la guerra. Subito!
sabato 27 dicembre 2008
Paolo Ferrero e Fabio Amato
da Ramallah

La notizia dell’inizio dell’attacco israeliano a Gaza ci arriva mentre salutiamo Mustafà Barghouti, l’ultimo in ordine di tempo di una serie di incontri con i leaders di tutte le forze della sinistra palestinese. Ci aveva appena raccontato della drammatica situazione che aveva visto poche settimane prima, quando era riuscito ad aggirare il blocco della striscia, arrivando via mare, da Larnaca, a Gaza.
Una situazione disumana, con condizioni di vita sempre più misere. Più di un milione di persone senza cibo, medicinali, elettricità, acqua. Questa è la Gaza che viene bombardata indiscriminatamente dall’esercito israeliano. Questa è la Gaza che subisce una rappresaglia di violenza inaudita, sproporzionata e completamente ingiustificata, per la rottura del cessate il fuoco e l’irresponsabile lancio di missili qassam da parte di Hamas. Mesi di privazioni iniziate con la vittoria del movimento islamico nelle elezioni parlamentari del 2006 e che hanno visto solo peggiorare giorno dopo giorno la situazione. Due anni di blocco e assedio.
Le tv arabe rimandano in tutti i territori e in tutto il mondo le immagini di quella che è stata annunciata dall’esercito israeliano e accreditata dai suoi più accondiscendenti alleati - a partire dagli USA e dal governo italiano - come un operazione chirurgica. Al contrario, un massacro. Centinaia di corpi, di donne e uomini, di bambini, ricoperti di sangue, trasportati negli ospedali in cui manca di tutto. Sono queste immagini a scatenare la rabbia dei ragazzi di Qalandia, Ramallah, di Hebron, come di Jenin, che subito riempiono le strade o sfidano i soldati israeliani con il lancio di pietre e fionde. Li abbiamo visti al Check point di Qalandia –, accucciati dietro ad un terrapieni a tirare pietre mentre i soldati israeliani semplicemente sparavano con il fucile. E non sparavano lacrimogeni. Nessuno si aspettava un attacco cosi repentino. Si stava ancora cercando di far ripartire canali politico negoziali quando il girono di Natale abbiamo incontrato Abu Mazen ci aveva preannunciato la sua visita odierna in Arabia Saudita per tentare la ripresa di un canale diplomatico, sia con Israele che con Hamas. L’attacco degli aerei israeliani è stato sferrato mentre Abu Mazen era in volo, a segnare ancora di più quell’impotenza dell’autorità nazionale palestinese che uscirà da questa vicenda ancora più indebolita.
Perché in realtà la situazione è paradossalmente ancora più grave di quella che si possa immaginare guardando le immagine delle centinaia di morti di Gaza. Il problema vero è che oggi in Palestina non ci troviamo di fronte ad un processo di pace interrotto o che procede a rilento. Ci troviamo di fronte alla costruzione concreta di un regime di apartheid, che strutturalmente rende impossibile la realizzazione di quanto stabilito dagli accordi e cioè la costruzione di due stati per due popoli. La costruzione dell’apartheid non è dichiarata ma praticata e la costruzione del muro – meglio sarebbe dire dei muri – costituisce la sua affermazione concreta. Oggi in Medio Oriente non abbiamo un territorio palestinese e uno israeliano ma bensì un territorio israeliano che si espande progressivamente con nuovi insediamenti di “coloni” che vengono difesi dalla polizia e dall’esercito israeliano e uniti da strade che sono utilizzabili solo da auto con targa israeliana. Parallelamente i check point rendono gli spostamenti dei palestinesi dei calvari interminabili, senza contare che i varchi nel muro, possono essere chiusi in ogni momento. I diritti dei palestinesi semplicemente non esistono perché possono essere sospesi in ogni momento, in ogni luogo, per qualsiasi motivo, dalle forze dell’ordine. Come ci ha detto un pastore luterano incontrato a Betlemme, la Palestina sembra una fetta di gruviera, dove Israele ha il formaggio e i palestinesi i buchi. Questa condizione che caratterizza la situazione degli ultimi anni è oggi aggravata da due elementi.
Da un lato la campagna elettorale israeliana. Per paura che le forze della destra aumentino i consensi, le forze di governo hanno nei fatti cominciato la campagna elettorale attaccando Gaza. Mettere i palestinesi in una condizione ancora peggiore è il vero motivo su cui si giocheranno – in nome della sicurezza – due mesi di campagna elettorale.
In secondo luogo il cambio della leadership statunitense, con i fratelli musulmani di cui fa parte Hamas – e con l’appoggio dell’Iran - che hanno tutta l’intenzione di accreditarsi come vero interlocutore con cui dover scendere a patti da parte degli USA.
E’ quindi tutto il processo di pace e la possibilità di costruire due stati per due popoli che viene bombardato a Gaza.
Per questo è necessario che un aiuto immediato venga dall’esterno. Occorre lavorare da subito e mobilitarsi per richiedere la fine dell’aggressione a Gaza e la fine dell’operazione militare che negli annunci dell’esercito israeliano dovrebbe durare vari giorni ed estendersi ulteriormente. Dobbiamo chiedere che il governo italiano e l’Europa chiedano con nettezza la fine incondizionata dell’aggressione da parte israeliana. Si riunisca d'urgenza il consiglio generale delle Nazioni Unite. Occorre chiedere che queste non si accodino, come da troppo tempo succede, a quanto sosterranno gli Stati Uniti, o - peggio ancora - si producano in vuote dichiarazioni di buon senso a cui non seguirà nulla.
Il silenzio sul boicottaggio continuo, quotidiano degli accordi di pace, diventa complicità e questa complicità deve essere denunciata per poter essere fermata.
I ragazzi palestinesi sono scesi in piazza spontaneamente rischiando la vita. Domani (oggi per chi legge) è stato proclamato uno sciopero generale dei territori. Facciamo sentire la nostra voce anche noi, che non rischiamo nulla, per denunciare l’aggressione e per chiedere la fine immediata di ogni azione militare. Perché è con la politica e non con i missili che si può costruire la pace in Medio Oriente.

lunedì 29 dicembre 2008

AGGRESSIONE GENOCIDA


GIULIETTO CHIESA: E' AGGRESSIONE GENOCIDA, MA I GIORNALI LA CHIAMANO OFFENSIVA


Il Golia israeliano ha dimostrato ancor una volta come intende trattare il Davide palestinese: massacrandolo. Bilancio dell'aggressione: oltre 150 morti tra la popolazione civile, oltre 200 feriti. Caccia e missili contro kalashnikov.. Raffinatezze tecnologiche contro povera gente inerme. Adesso si sentirà il solito coro: ma Hamas tirava i razzi su Israele. Probabile, anzi vero. Bilancio dei razzi palestinesi: un morto.Si dirà che la contabilità dei morti è cosa miserabile. Ma andatelo a spiegare alle mamme che hanno perso i loro figli nel bombardamento del Golia aggressore. Andatelo a spiegare ai palestinesi che si sono visti portare vie le loro terre e che adesso non possono neanche più vederle perchè sono dietro a un muro. Ma, per noi europei, civilizzati e (ancora per poco) vincitori, esiste solo un muro, quello di Berlino, da ricordare fino alla nausea.Si dirà che Hamas è organizzazione terrorista. Ma aveva vinto le elezioni. Bisogna spiegarselo.Si dirà - per spiegarselo - che i palestinesi sono cattivi e antidemocratici, mentre gli israeliani sono buoni e democratici.Cioè si fara del razzismo. Dello sporco, intollerabile razzismo.


www.giuliettochiesa.it

domenica 28 dicembre 2008

Basta!


Basta! togliete lo Stato d'Israele da lì, togliete l'esercito ebreo-nazista da quei luoghi. Un popolo che non è un popolo in uno stato che non è uno stato. Vigliacchi, bastardi, assassini, porci, bestie:

M. O.: OLTRE 270 MORTI NEI RAID ISRAELIANI SU GAZA

Citta' di Gaza, 28 dic. - I bombardamenti dell'aviazione israeliana iniziati ieri contro obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza hanno fanno finora 271 morti e 620 feriti. Lo ha riferito il capo dei servizi d'emergenza del territorio palestinese, dottor Moawiya Hassanein. Sei sono state le vittime dei raid di questa mattina, ha sottolineato la stessa fonte. Gli aerei israeliani, ha fatto sapere l'esercito, hanno colpito 230 obiettivi nella Striscia di Gaza. "Tra questi infrastrutture di Hamas che comprendono edifici, depositi di armi e aree di lancio dei razzi" su Israele, ha detto una portavoce. Le vittime, secondo fonti sanitarie, sono perlopiu' membri del movimento fondamentalista e i feriti sono almeno 600. La risposta di Hamas e' venuta con il lancio di decine di razzi Qassam. Intanto Il Cairo ha accusato Hamas di non permettere il trasporto dei feriti negli ospedali egiziani nonostante l'apertura del valico di Rafah. "Non e' arrivato nessuno" ha detto un ufficiale della polizia di frontiera, "non sappiamo perche' il valico sia stato chiuso sulla parte palestinese". Sul lato egiziano decine di container di aiuti, 40 ambulanze e camioncini pieni di medicinali sono in attesa di poter entrare nella Striscia di Gaza. "Non viene permesso che i feriti passino il confine, noi li stiamo aspettando" ha denunciato il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abul Gheit che ha puntato il dito contro "coloro che controllano Gaza".
"Stiamo preparando gli elenchi delle vittime" si e' giustificato Mouneer al-Borsh del ministero della Sanita' gestito da Hamas, "e' che si tratta di moltissima gente, tra morti e feriti". Israele ha minacciato l'invio di truppe di terra se l'offensiva aerea non dovesse servire a fermare i lanci di razzi e migliaia di riservisti sono stati gia' richiamati. Al termine di una riunione straordinaria, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha chiesto la cessazione immediata delle operazioni militari, ma il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barack, ha avvertito che "le forze armate andranno avanti e a fondo quanto sara' necessario".
"Siamo pronti a tutto" ha aggiunto, secondo quanto riferito dal suo portavoce, "se necessario anche a dispiegare truppe di terra per difendere i nostri cittadini" Aprendo una riunione e del suo governo, il premier Ehud Olmert ha detto che "l'operazione militare lanciata ieri ha lo scopo di restituire una vita normale agli abitanti del sud di Israele che da anni subiscono gli attacchi incessanti da parte di terroristi armati di mortai e razzi". Mentre da Damasco il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, lancia l'appello a una nuova intifada e promette la ripresa degli attacchi suicidi, l'offensiva su Gaza ha inasprito i rapporti tra Israele e Paesi arabi con cui ha siglato la pace, come Egitto e Giordania, dove 30 deputati hanno chiesto l'espulsione del'ambasciatore israeliano.

Foto: Bambine israeliane scrivono dediche sui missili poi lanciati in Libano. Uno dei punti più bassi mai raggiunti dall'umanità.

giovedì 25 dicembre 2008

Pensierino di Natale


Di seguito riporto quello che per me potrebbe essere un bel pensierino di Natale:

di Alberto Burgio e Vladimiro Giacché

In questi giorni è di gran moda tributare onori al vecchio Marx. La crisi del capitalismo incoraggia le palinodie. Ancora ieri era un reperto fossile, oggi è la mascotte di banchieri e economisti di radicata (e in realtà incrollabile) fede liberista.

Lasciamo andare ogni considerazione sulla scarsa decenza di tanti improvvisi ripensamenti. Proviamo piuttosto a divertirci un po' immaginando lo spasso che procurerebbero a Marx tutti questi discorsi e quanto sta accadendo in queste turbolente settimane. A Marx e non soltanto a lui. C'è un altro grande vecchio, di cui nessuno parla, che si sta godendo una tardiva ma non imprevista rivincita. Un vecchio molto caro all'autore del Capitale. Insomma, questa crisi è un momento di riscatto anche per Hegel, il grande maestro di Marx. Attenti a quei due.
La rappresentazione prevalente descrive un movimento che va dalla crisi finanziaria («originata - recita la vulgata - dalla caduta dei mutui subprime») all'economia reale.
Le implicazioni di questa narrazione ideologica sono principalmente due. La prima è che l'«economia reale» (in sostanza, il capitalismo) sarebbe di per sé sana; la seconda, che ne consegue, è che si tratta in definitiva di un problema di «assenza di regole e controlli» in grado di prevenire (e adeguatamente reprimere) i comportamenti «devianti» degli speculatori troppo ingordi.
Tale descrizione omette il dato essenziale. Prima del movimento descritto, ne opera uno opposto (dall'economia reale alla finanza) che si fa di tutto per occultare. Si capisce perché.
In realtà è il modo in cui funzionano la produzione e la riproduzione (cioè il rapporto capitale-lavoro) a decidere il ruolo della finanza e le forme concrete del suo funzionamento. Nella fattispecie, è l'ipersfruttamento del lavoro (a mezzo di precarizzazioni, delocalizzazioni, bassi salari e tagli del welfare) a far sì che all'indebitamento di massa sia affidato il ruolo di fondamentale volano della crescita. Non stupisce allora che su questo si cerchi di instaurare un tabù. Non si può dire chiaramente - pena l'esplicita delegittimazione del sistema - che all'origine della crisi è la crescente povertà imposta alle classi lavoratrici da trent'anni a questa parte.
Ma che c'entra Marx con questo e cosa c'entra soprattutto Hegel?
Proviamo a vederla così. Se è vero che l'economia reale è sia il luogo originario del processo di crisi, sia il terreno del suo compiuto dispiegarsi, allora si può dire che la produzione si serve della finanza per sopravvivere. Nel concreto, la speculazione finanziaria fondata sull'indebitamento è il mezzo che il capitale usa per svilupparsi in costanza del vincolo-base del neoliberismo: la deflazione salariale a tutela del saggio di profitto.
Ora, questo schema è identico a quello su cui riposa la critica marxiana della valorizzazione capitalistica. In base a tale schema, com'è noto, la quantità di valore aumenta passando attraverso la produzione di merce. La quale - dal punto di vista del capitale - non è che lo strumento necessario per riprodursi e svilupparsi.
Non si tratta di un'analogia formale né, tanto meno, accidentale. La finanza oggi svolge, in rapporto alla produzione capitalistica, una funzione identica a quella che, nel processo di riproduzione del capitale, è assolta dalla merce. La finanziarizzazione dell'economia, cuore del neoliberismo, affianca alla sequenza D-M-D1 (beninteso, l'unica nel contesto della quale si realizza un effettivo aumento di valore) la sequenza produzione-speculazione-produzione, funzionale a drenare cospicue masse di ricchezza dal lavoro al capitale: una sequenza nella quale si rispecchiano a un tempo il ruolo-chiave svolto dal denaro e la funzione decisiva assolta dalla povertà del lavoro.
A sua volta, questo schema è identico a quello che struttura l'analisi dialettica del reale nelle pagine di Hegel, in particolare nella Scienza della logica. Non tanto per la sua struttura triadica (a-b-a1: tesi-antitesi-sintesi), che ne costituisce la veste esteriore. Quanto per il nòcciolo teoretico che contiene, cioè l'idea che il passaggio da un ente a un altro (il negarsi a vantaggio dell'«altro da sé») sia in realtà (al di là di ciò che appare sul piano fenomenologico) un transito necessario al primo ente per conservarsi. In questo senso il primo ente è il protagonista dell'intero movimento, nella misura in cui trasforma se stesso e, trasformandosi, sopravvive.
Ce n'è già abbastanza, forse, per dire che la filosofia ogni tanto si prende delle grandi soddisfazioni. Sembra a prima vista un catalogo di criptiche astrazioni, si rivela invece una potente chiave per penetrare la realtà e decifrarne le dinamiche. L'astrazione coincide così col massimo di semplicità e di concretezza. Ma c'è dell'altro. Anzi, il bello viene proprio adesso.
La dialettica mostra che l'ente da cui il movimento prende avvio (la produzione capitalistica) è il protagonista della storia (della crisi). Ma mostra anche che la trasformazione dell'ente (necessaria alla sua sopravvivenza) implica quel passaggio (la finanziarizzazione), quel suo negarsi nell'altro. Mostra cioè che non vi è persistenza senza conflitto, senza duro contrasto, senza negazione di sé. Solo venendo meno, passando attraverso la propria morte, la cosa persiste e si sviluppa.
Questo è il punto, evidentemente gravido di conseguenze. La produzione capitalistica si rivolge alla finanza speculativa per una sua inderogabile esigenza (per realizzare la riproduzione allargata del capitale). Alla base opera la necessità di impoverire il lavoro, pena l'estinguersi dei margini di profitto, cioè del capitale stesso. Dopodiché la speculazione finanziaria torna sulla produzione in forma distruttiva. È indispensabile al capitale, ma è altresì incompatibile con la sua sopravvivenza. In altre parole, la produzione capitalistica si serve della speculazione per conservarsi ma, nel far ciò, è costretta anche - paradossalmente - a negare se stessa, a autodistruggersi a mezzo dell'onda d'urto della crisi finanziaria, che agisce come formidabile moltiplicatore economico degli effetti socialmente distruttivi dell'ipersfruttamento del lavoro vivo.
In cauda venenum. La filosofia è come un fascio di raggi X puntato sui processi reali e sulle loro rappresentazioni ideologiche. La dialettica è una potenza dinamitarda. Hegel e Marx, quei due «cani morti» che già in passato turbarono i sonni delle borghesie europee, ancora se la ridono.

da il manifesto

martedì 23 dicembre 2008

Carta d'Identità


Ricordate!
Sono un arabo
E la mia carta d’identita’ e’ la numero cinquantamila
Ho otto bambini
E il nono arrivera’ dopo l’estate.
V’irriterete?
Ricordate!
Sono un arabo,impiegato con gli operai nella cava
Ho otto bambini
Dalle rocce
ricavo il pane,
i vestiti e i libri.
Non chiedo la carità alle vostre porte
Ne’ mi umilio ai gradini della vostra camera
Perciò, sarete irritati?
Ricordate!
Sono un arabo,
ho un nome senza titoli
e resto paziente nella terra
la cui gente è irritata.
Le mie radici
furono usurpate prima della nascita del tempo
prima dell’apertura delle ere
prima dei pini, e degli alberi d’olivo
e prima che crescesse l’erba.
Mio padre…viene dalla stirpe dell’aratro,
non da un ceto privilegiato
e mio nonno, era un contadino
ne’ ben cresciuto, ne’ ben nato!
Mi ha insegnato l’orgoglio del sole
prima di insegnarmi a leggere,
e la mia casa e’ come la guardiola di un sorvegliante
fatta di vimini e paglia:
siete soddisfatti del mio stato?
Ho un nome senza titolo!
Ricordate!
Sono un arabo.
E voi avete rubato gli orti dei miei antenati
e la terra che coltivavo
Insieme ai miei figli,
senza lasciarci nulla
se non queste rocce,
e lo Stato prenderà anche queste,
come si mormora.
Perciò!
Segnatelo in cima alla vostra prima pagina:
non odio la gente
né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
la carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
alla mia collera
ed alla mia fame!
Mahmoud Darwish (Poeta Palestinese)

giovedì 18 dicembre 2008

I potenti del mondo: il Gruppo Bilderberg


Il Gruppo Bilderberg (o conferenza Bilderberg) è una conferenza internazionale annuale, non ufficiale, ad invito di circa 130 esponenti, spesso con ruoli di rilievo nel mondo economico, finanziario o politico.

Dato che le discussioni durante questa conferenza non sono mai registrate o riportate all'esterno, questi incontri sono sia oggetto di forte critica sia la fonte di molte teorie del complotto.

L'obiettivo iniziale del gruppo sarebbe stato, nel contesto della guerra fredda, di rafforzare la cooperazione tra gli Stati Uniti ed i loro partner Europei. Inoltre, a causa del carattere molto riservato delle conferenze, il gruppo è stato a lungo considerato, da alcuni, una società segreta. Gli rimproverano possibilità di decisioni antidemocratiche che potrebbero essere prese da un gruppo così potente e in particolare, dalla caduta dell'Impero Sovietico, l'orchestrazione della mondializzazione economica.

Fonte Wikipedia

Tra i nomi degli italiani che via hanno partecipato una o più volte ci sono anche quelli degli Agnelli, di Tremonti, e, udite udite, quelli di Prodi e Veltroni.

Disinformazione

Comunismo


“La tradizione non è un patrimonio che si possa facilmente ereditare: chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica. Essa esige che si abbia, anzitutto, un buon senso storico (…).
Avere senso storico significa essere consapevole non solo che il passato è passato, ma che è anche presente (...)

i|de|o|lo|gì|a
s.f.
1 CO complesso di idee e principi propri di un’epoca, di un gruppo, di una classe sociale e sim.

Quando le parole perdono il loro significato, la forza fisica prende il sopravvento...

Il comunismo s'identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l'umanismo, e in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo.

E' la vera risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo e l'uomo, tra l'esistenza e l'essenza, tra l'oggettivazione e l'autoaffermazione, tra libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie.

E' la soluzione dell'enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione.

Karl Marx (Manoscritti economico-filosofici del 1844)

mercoledì 17 dicembre 2008

Occhettiani


Lo scontro al calor bianco è su soldi e immobili. Rifondazio­ne ha il finanziamento pubblico fino al 2011. Dice un bertinottiano di rango: «Rappresentiamo il 47 per cento del partito. Vogliamo il 47 per cento delle risorse». Un'ipotesi che non viene presa nemmeno in considerazione dell'attuale gruppo dirigente del partito: «Il Prc c'era, c'è e ci sarà. Chi se ne va, va via a mani vuote» afferma Grassi. Non solo. Rifondazione dispone di un patrimonio consistente di sedi, appartamenti, foresterie: «Se non ce le danno le occupiamo» dico­no i vendoliani che pensano di attuare il «metodo Cossutta». Nel '98 ai tempi della scissione che diede vite al Pdci — i cossuttiani si presero manu militari le federazioni dove avevano la maggioranza. Ora Vendola con­trolla tutto il Sud ma al quartier generale di Ferrero non vogliono mollare. E da ieri è partita la mo­ral suasion sui territori. Che suona più o meno così: «Che garanzie dà la prospettiva di fare un partitino con Sd, per poi andare nel Pd?». Ma la carta più forte che i seguaci di Ferrero si giocheranno sul territorio è l'orgoglio di partito. Nei giorni scorsi il segretario ha già bollato come «occhettiani» quelli che vogliono abbandonare la falce e martello. Un'accusa che gli uomini di Vendola considerano «rozza». Ma la battaglia riguarderà anche l'«onore del passato».

Dopo aver disertato il Cpn, ecco la battaglia dei vendoliani. Che tristezza...

giovedì 11 dicembre 2008

Proposte reali


«Non è accettabile – ha spiegato Ferrero – che un lavoratore paghi il 30% su quanto guadagna, mentre chi investe paga il 12,50%». Per risolvere questo squilibrio e per adeguare l'aliquota ai livelli europei, il ministro Ferrero ha insistito sulla necessità di una tassazione al 20%, «anche sui Buoni ordinari del Tesoro».

Oscurantismo


Giallo Rai: «Brokeback Mountain» tagliato, ma non si sa da chi


Il film è la storia di un amore gay, i fotogrammi amputati sono: un bacio tra i due protagonisti e un momento in cui si mima un rapporto sessuale...

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mercoledì 10 dicembre 2008

Demitizzazioni (parte prima)


La posizione della missionaria

[...] Il suo integralismo la portò a comportamenti che denotano una ben scarsa umanità: dalla convinzione che la sofferenza dei poveri sia di grande aiuto per il mondo, al battesimo praticato in punto di morte a inermi induisti e musulmani, agli standard di assoluta inefficienza dei suoi ospedali (anche se poi, per i propri malanni, si faceva curare in costose cliniche occidentali). [...]

Qui

venerdì 5 dicembre 2008

Echevarria y Binetti


Bimbi disabili frutto del peccato?

Polemica tra Opus Dei e genitori


Catania. Il vescovo Javier Echevarria: in 90 casi su 100, gli handicap sono causati da chi non ha mantenuto la purezza del corpo prima del matrimonio. Le associazioni che tutelano i "down": non c'è fondamento scientifico, questo è terrorismo religioso.

Qui

mercoledì 3 dicembre 2008

Ghigliottinati!


Pur di salvare la sacra famiglia, il Vaticano manda a morte gli omosessuali

Pur di salvare la sacra famiglia, il Vaticano manda a morte gli omosessuali. E non è un'esagerazione. Messi di fronte alla scelta, da Oltretevere non hanno dubbi: sull'altare (è il caso di dire) devono essere sacrificati i gay. Riepiloghiamo. La Francia, a nome dei 27 paesi europei, si è fatta promotrice di una iniziativa (sottoscritta, per altro, anche dall'Italia) per chiedere all'Onu, in occasione dei sessant'anni della dichiarazione dei diritti umani (il prossimo 10 dicembre), la «depenalizzazione universale dell'omosessualità». Com'è noto, esistono ancora molti paesi (per la precisione 91) nei quali i rapporti omosessuali non solo sono reato (con annessi sanzioni, torture e carcere), ma sono puniti persino con la pena capitale. Cioè con la morte (una decina di stati islamici). Ebbene, il Vaticano che fa? Si schiera contro per paura che l'iniziativa europea sia l'anticamera (pure in Italia) del "matrimonio" tra persone dello stesso sesso. Proprio così. Parola di monsignor Celestino Migliore, nientemeno che rappresentante della Santa Sede alle Nazioni Unite a New York.
Romina Velchi su Liberazione del 2 dicembre 2008