Mi chiamo Giordano Scipioni ed ho quarant’anni. Non ho mai conosciuto mio padre ed ho perso mia madre nel 1999, ritrovandomi, a ventotto anni, senza lavoro e senza risorse. I servizi sociali del Comune mi assegnarono, allora, un alloggio in via Langlois, non essendo più in grado di fare fronte alle spese dell’affitto di un appartamento nel quartiere di Santa Petronilla, dove vivevo con mia madre. Ai Servizi Sociali del Comune non ho mai avanzato richieste di tipo assistenziale. Chiedevo soltanto un lavoro e la possibilità di vivere una vita dignitosa. Grazie al mio amico Quinto Antinori, scomparso alcuni anni addietro, sono riuscito ad avere, attraverso la cooperativa Idor che gestisce la Piscina Comunale, un piccolo lavoro come addetto alle pulizie. Questo mi consente di essere indipendente e non dover ricorrere, in alcun modo, ai Servizi Sociali.
Nel 2005, dopo essere stato assente da Fermo per un periodo, in cui ho avuto la possibilità di svolgere l’attività di stalliere presso una tenuta di San Severino Marche, al ritorno, mi sono ritrovato spaesato e fuori luogo. Passeggiavo dalla mattina alla sera. Nel camminare mi imbattevo spesso in piccioni che cadevano dal nido, molti dei quali ancora incapaci di volare, altri feriti che ho cominciato ad accudire, come meglio potevo, nella mia abitazione. Quelli che morivano li seppellivo, quelli che sopravvivevano li tenevo con me. Tra i piccioni c’erano maschi e femmine che nel tempo si sono riprodotti e non ho mai avuto il coraggio di liberarmene. Mi ero troppo affezionato loro. Nell’arco di sei anni sono diventati numerosi. Ero consapevole allora e lo sono ancor più oggi, che i piccioni non possono essere tenuti in casa per motivi igienico sanitari, specialmente in città. Tuttavia non credo di aver fatto una cosa cattiva e, comunque, le mie intenzioni erano buone.
Una mattina alle 8, del 12 novembre 2010, sento bussare alla porta violentemente. Ho pensato in un primo momento a un incidente, qualcuno a cui fosse stata ammaccata la macchina. Apro la porta e trovo due vigili con guanti e mascherine, uno alla mia destra e uno alla mia sinistra, in mezzo il capo dei vigili. Il capo dei vigili mi chiede di seguirlo per portarmi su una nuova casa. Nonostante fossi ancora assopito ho capito che si trattava di qualcosa che non andava e, spaventato, ho allungato le braccia per prendere il mio giubbotto. Uno dei vigili mi afferra per il braccio destro e l’altro per il sinistro per portarmi fuori di casa. Il loro atteggiamento è palesemente provocatorio. Probabilmente speravano in una mia reazione che non c’è stata. Infatti ho solo subito l’aggressione esprimendo le mie rimostranze verbalmente, dicendo di essere lasciato libero nei movimenti, di non essere trattenuto. Subito dopo è arrivata una dottoressa, credo del Servizio Psichiatrico, che mi ha parlato dei piccioni (che il maschio e la femmina rimangono insieme tutta la vita, ecc). La dottoressa mi ha definito egoista per il fatto che tenevo i piccioni dentro casa e questo mi ha reso nervoso e mi ha spinto a reagire ma sempre e solo verbalmente. I vigili mi hanno messo nuovamente le mani addosso e ho gridato che mi stavano trattando in quel modo perché sono un poveraccio e che se fossi stato un Diego Della Valle o un Berlusconi si sarebbero comportati in modo ben diverso. Sia i Vigili che la dottoressa si sono messi a ridere con un atteggiamento di scherno e di disprezzo. I vigili a spintoni mi hanno costretto a salire sull’ambulanza e a sdraiarmi sul lettino. Anche allora non ho opposto alcuna resistenza.
Pensavo che se non avessi fatto resistenza, all’Ospedale mi avrebbero rilasciato subito. Invece mi hanno tenuto prigioniero per dieci giorni presso il reparto psichiatrico. Ho giurato a me stesso che avrei rotto definitivamente ogni rapporto sia con i medici che con il Servizio Sociale. Successivamente sono venuto a conoscenza del fatto che a firmare il mio ricovero è stato il Sindaco. Questa cosa non gli fa onore.
Quello che mi ha colpito molto è che quando sono rientrato nella casa di via Langlois per recuperare le mie cose, costretto, peraltro, a passare dalla finestra, non ho ritrovato più nulla: lo stereo, il decoder, il lettore portatile, un piccolo televisore a cristalli liquidi ancora imballato e nuovo di zecca, il rasoio elettrico che era un ricordo di mia madre, un orologio d’argento Casio regalo di un mio amico, un vestito nuovo che ho indossato una sola volta al matrimonio di un’amica, un anello di mia madre, un cannocchiale astronomico di piccole dimensioni, i libri di astrologia e di storia ecc. ecc. Tutto sparito. Hanno gettato tutto per motivi igienico sanitari (compreso il televisore nuovo e ancora imballato) ? Mi sono ritrovato, inoltre, di fronte a uno spettacolo macabro. Infatti mentre tutte le mie cose erano scomparse, ho trovato, nella stanza dove li accudivo, diversi piccioni morti e sporchi di sangue. Non ho potuto fare a meno di piangere.
I giornali locali mi hanno dipinto come un mostro. E’ troppo facile giudicare qualcuno che non si conosce. Ora mi auguro che almeno venga pubblicata questa mia lettera aperta così come è scritta, parola per parola. Faccio appello alla libertà di stampa e alla professionalità dei giornalisti locali, confidando nella possibilità di esprimere le mie ragioni.
Al Comune e alla Sanità non chiedo niente, anche perché ogni qual volta sono intervenuti lo hanno fatto esclusivamente per violare i miei diritti e per limitare la mia libertà. Da quando mi è successa questa cosa non mi sento più lo stesso. Tutte le mattine quando vedo le lancette dell’orologio che segnano le otto mi sembra di rivivere quell’esperienza violenta. Mi sento come un cittadino che è stato arrestato, processato e messo in carcere senza che abbia commesso alcun reato. E anche se ora sono libero la mia vita non è più la stessa e non lo sarà più.
Alla società e alle autorità competenti non chiedo compassione ma giustizia.
Giordano Scipioni
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