venerdì 22 febbraio 2008

L'ultimo profeta

Israel Shahak
Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni
(264 pagg.) € 15,50

"Shahak è il più recente, se non l’ultimo, dei grandi profeti"

Alla fine degli Anni Cinquanta, quel grande pettegolo e storico dilettante che era John F. Kennedy mi disse che nel 1948 Harry Truman, proprio quando si presentò candidato alle elezioni presidenziali, era stato praticamente abbandonato da tutti. Fu allora che un sionista americano andò a trovarlo sul treno elettorale e gli consegnò una valigetta con due milioni di dollari in contanti. Ecco perché gli Stati Uniti riconobbero immediatamente lo Stato d'Israele.

A differenza di suo padre, il vecchio Joe, e di mio nonno, il senatore Gore, né io né Jack eravamo antisemiti e così commentammo quell'episodio come una delle tante storielle divertenti che circolavano sul conto di Truman e sulla corruzione tranquilla e alla luce del sole della politica americana.

Purtroppo, quell'affrettato riconoscimento dello Stato d'Israele ha prodotto quarantacinque anni di confusione e di massacri oltre alla distruzione di quello che i compagni di strada sionisti credevano sarebbe diventato uno stato pluralistico, patria dei musulmani, dei cristiani e degli ebrei nati in Palestina e degli immigrati europei e americani, compreso chi era convinto che il grande agente immobiliare celeste avesse dato loro, per l'eternità, il possesso delle terre della Giudea e della Samaria. Poiché molti di quegli immigrati, quando erano in Europa, erano stati sinceri socialisti, noi confidavamo che non avrebbero mai permesso che il nuovo stato diventasse una teocrazia e che avrebbero saputo vivere, fianco a fianco, da eguali, con i nativi palestinesi.

Disgraziatamente, le cose non andarono così. Non intendo passare ancora una volta in rassegna le guerre e le tensioni che hanno funestato e funestano quella infelice regione. Mi basterà ricordare che quella frettolosa invenzione dello Stato d’Israele ha avvelenato la vita politica e intellettuale degli Stati Uniti, questo improbabile patrono d'Israele. Dico improbabile perché, nella storia degli Stati Uniti, nessun'altra minoranza ha mai estorto tanto denaro ai contribuenti americani per Investirlo nella "propria patria". E’ stato come se noi contribuenti fossimo stati costretti a finanziare il Papa per la riconquista degli Stati della Chiesa semplicemente perché un terzo degli abitanti degli Stati Uniti sono di religione cattolica.

Se si fosse tentata una cosa simile, ci sarebbe stata una reazione violentissima e il Congresso si sarebbe subito opposto decisamente. Nel caso degli ebrei, invece, una minoranza che rappresenta meno del due per cento della popolazione ha comprato o intimidito settanta senatori, i due terzi necessari per nullificare un comunque improbabile veto presidenziale, e si è valsa del massiccio appoggio dei media.

In un certo senso, ammiro il modo in cui la lobby ebraica è riuscita a far sì che, da allora, miliardi e miliardi di dollari andassero ad Israele "baluardo contro il comunismo". In realtà, la presenza dell'URSS e il peso del comunismo sono stati, in quelle regioni, men che rilevanti e l'unica cosa che noi americani siamo riusciti a fare è stato di attirarci l'ostilità del mondo arabo che prima ci era amico.

Ancora più clamorosa è la disinformazione su tutto quanto avviene nel Medio Oriente e se la prima vittima di quelle sfacciate menzogne è il contribuente americano, all'opposto lo sono anche gli ebrei degli Stati Uniti che sono continuamente ricattati da terroristi di professione come Begin o Shamir. Peggio ancora, salvo poche onorevoli eccezioni, gli intellettuali ebrei americani hanno abbandonato il liberalismo per stipulare demenziali alleanze con la destra politico religiosa cristiana, antisemita, e con il complesso militare-industriale del Pentagono. Nel 1985, uno di quegli intellettuali dichiarò apertamente che quando gli ebrei erano arrivati negli Stati Uniti avevano trovato «più congeniali l'opinione pubblica e i politici liberali ma che, ora, è interesse dell'ebraismo allearsi ai fondamentalisti protestanti perché, dopo tutto, 'Vè forse qualche ragione per cui noi ebrei dobbiamo restar fedeli, dogmaticamente e con l'ipocrisia, alle idee che condividevamo ieri?».

A questo punto, la sinistra americana si è divisa e quelli di noi che criticano i nostri ex-alleati ebrei per questo loro insensato opportunismo vengono subito bollati con i rituali epiteti di "antisemita" o di "odiatori di se stessi".

Per fortuna, la voce della ragione è ancora viva e forte e viene proprio dalla stessa Israele. Da Gerusalemme, Israel Shahak, con le sue continue e sistematiche analisi, smaschera la sciagurata politica israeliana e lo stesso Talmùd, in altre parole l'effetto che ha tutta la tradizione rabbinica sul piccolo Stato d'Israele che i rabbini di estrema destra di oggi vogliono trasformare in una teocrazia riservata ai soli ebrei.

Shahak guarda con l'occhio della satira tutte le religioni che pretendono di razionalizzare l'irrazionale e, da studioso, fa risaltare le contraddizioni contenute nei testi. E’ un vero piacere leggere, con la sua guida, quel grande odiatore dei gentili che fu il dottor Maimonide!

Inutile dire che le autorità israeliane deplorano l'opera di Shahak ma non possono far nulla contro un docente universitario di chimica in pensione, nato a Varsavia nel 1933 che ha passato alcuni anni della sua infanzia nel campo di concentramento nazista di Belsen. Nel 1945 Shahak andò in Israele; ha prestato servizio nell'esercito israeliano e non è diventato marxista negli anni in cui essere marxisti era di gran moda. Shahak era, ed è, un umanista che detesta l'imperialismo sia che si manifesti come il Dio di Abramo che come la politica di George Bush e, con lo stesso vigore, la stessa ironia e competenza, si oppone al nocciolo totalitario del giudaismo.

Israel Shahak è un Thomas Paine più colto che continua a ragionare e, di anno in anno, ci rivela le prospettive che abbiamo e ci dà gli strumenti per chiarirci la lunga storia che sta alle nostre spalle. Coloro che si preoccupano per lui saranno forse più saggi o, - devo proprio dirlo? - migliori, ma Shahak è il più recente, se non l’ultimo, dei grandi profeti.

(Gore Vidal)

"Israele come stato ebraico costituisce un pericolo non solo per se stesso e per i suoi abitanti, ma per tutti gli ebrei e per tutti gli altri popoli e stati del Medio Oriente e anche altrove".

Con queste parole Israel Shahak, un ebreo israeliano nato in Polonia, deportato a Belsen e residente in Israele da oltre quarantanni, intraprende uno studio avvincente e insieme provocatorio per dimostrare fino a che punto lo Stato laico di Israele è stato dotato dall'ortodossia religiosa di una natura odiosa e potenzialmente funesta. Mentre il fondamentalismo mussulmano è disprezzato in Occidente, quello ebraico passa largamente inosservato: il giudaismo classico viene adoperato per giustificare la politica israeliana che è razzista, totalitaria e xenofoba proprio come l'antisemitismo della peggior specie.

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