Del “vecchio” P.C.I., malgrado la sua scelta di uscire da sinistra, ha sempre parlato con rispetto e cognizione di causa. Altrettanto posso dire della C.G.I.L. nella quale aveva militato negli anni di fabbrica, vissuti da giovane tecnico a Milano e poi a Chieti. Si era diplomato nell’Istituto Tecnico industriale “Montani” di Fermo, all’epoca la più prestigiosa scuola tecnica d’Italia e alcuni dei suoi insegnanti li ricordava ancora con ammirazione dopo tanti anni.
A milano e a Chieti aveva fatto un’intensa esperienza sindacale, da delegato FIOM aveva partecipato alla lotta contro l’impiego militare delle tecnologie radio ed elettroniche della sua azienda. Negli anni del ritorno a Fermo è stato istitutore del Convitto Montani fino all’ingresso nell’INPS. Ho notato sovente che i convittori gli si rivolgevano come a un qualcosa di mezzo tra un padre ed un fratello maggiore. Quinto aveva verso i giovani, in generale, una fiducia e un’indulgenza eccessive, ricambiate da una simpatia istintiva.
All’INPS era consulente no stop per il popolo dei pensionati e dei pensionandi che intasavano lo sportello al pubblico durante i suoi turni. Alla materia previdenziale si era appassionato, come a tutti i mestieri che ha praticato, ed avevamo in cantiere un seminario di approfondimento sul bilancio dell’INPS. Ancora una volta, l’indignazione, in questo caso per le menzogne sulla “necessaria” riforma previdenziale, è stata la molla principale del suo agire politico.
All’avvicinarsi delle comunali dell’ 88 a Fermo con un gruppetto di dissidenti iscritti al P.C.I. decidemmo di “punire” il Partito per la sua deriva di destra, convogliando voti su D.P. Fu sufficiente per far entrare in Consiglio per la prima volta un candidato dell’estrema sinistra. Quel consigliere fu naturalmente Quinto e questi precedenti resero poi naturale e facile la convergenza in Rif. Com.
Delle due anime del nostro partito, e del meglio di quelle due anime, sinistra P.C.I. e D.P., Quinto costituiva una specie di sintesi. Appena un anno dopo la sua nascita, Rif. a Fermo fu travagliata da una grave rottura politica, originata dalla sostituzione di Quinto in Cons. Com.le. Si era dimesso per un impegno preso in precedenza e a nulla erano valse le suppliche di recedere da quella decisione. La stessa ostinazione tante volte dimostrata nel rifiutare cariche pubbliche e candidature importanti. Secondo l’antica tradizione comunista, la rottura politica fu segnata dalla rottura personale. In questa occasione ho cominciato a conoscere veramente l’uomo.
Quel viso così mobile ed espressivo, incapace di mascherare le emozioni, tradiva una sofferenza quasi fisica. In quel lontano ’93, ricucito lo strappo, prende l’avvio l’apprendistato all’amicizia con Quinto. Compito agevole, perché Quinto esprimeva l’amicizia con lo sguardo e il sorriso diceva il piacere semplice ed elementare della presenza. Voglio aggiungere che, sincero fino alla brutalità e facile all’ira, era però incapace di odio. Credo che anche gli avversari più osteggiati lo avvertissero e le loro parole di apprezzamento e condoglianza sospetto che siano profondamente sincere. Quinto non sapeva che fosse la bassezza o la meschinità, il calcolo o l’interesse personale. Tra le sue ultime cose ha scritto di una grande ambizione: quella di “leggere il mondo”, ma la sua profonda umiltà è testimoniata dal fatto che tutto ciò che di buono facessero gli altri, in bocca sua doveva essere elogiato, sottolineato, additato ad esempio mentre nel raro parlare di sé prevaleva l’understatement e l’autoironia. La sua ambizione non era infondata perché Quinto era molto più giovane dei suoi 57 anni: curioso del presente, fiducioso nel futuro, lo abbiamo visto crescere fino all’ultima crisi.
Era consigliere comunale a Fermo, per la terza volta, sempre all’opposizione, alcuni lo consideravano troppo “ideologico”. Aveva invece il gusto dell’amministrare, in tutto trovava motivo di interesse e occasione di nuove “scoperte”: dalla struttura del bilancio alle modalità di appalto nei lavori pubblici, ma la sua attenzione principale l’ha riservata ai servizi sociali. Li c’è l’umanità e la sofferenza quotidiana, per Quinto nulla poteva essere più importante. Saputo, alla fine di agosto, della malattia che si manifestava improvvisa e grave, mi disse di non essersi mai sentito così sereno: deciso a lottare contro il male e libero finalmente di studiare.
Le sue ultime letture sono state Feurbach e Gramsci. Il primo di cui aveva avuto una conoscenza solo indiretta, doveva fornire la più accurata base scientifica al suo ateismo (severe le sue raccomandazioni per il funerale laico), ateismo che non gli ha impedito di guardare con deferenza e tenerezza ad uomini come Zanotelli o Franzoni. Gramsci, condannato a morire lontano dai suoi cari e deciso a pensare fino all’ultimo, credo sia stato il “direttore spirituale” degli ultimi giorni. Non a caso tra le sue volontà una diffusione delle “Lettere dal carcere” e la sobrietà dell’ultimo saluto. Sobrietà e rigore: parole chiave in Gramsci, tratti salienti della personalità di Quinto Antinori.
Lascia un partito sbigottito e interdetto, una moglie, Elena, e due figlie, Silvia e Michela, adorate e contagiate dal suo coraggio, sempre in cima ai suoi pensieri.
Quinto Antinori aveva ancora molte cose da dire e da fare. Questo ci brucia soprattutto: la sensazione di un progetto spezzato, di un discorso interrotto molto prima della sua naturale conclusione.
Non lo dimenticheremo, non è un impegno è solo una previsione.
Alessandro Volponi
Nessun commento:
Posta un commento