domenica 6 aprile 2008

Cos'è la vita per me


Cos’è la vita per me

Sono nato proletario. Ho scoperto presto l’entusiasmo, l’ambizione e gli ideali e nel tentativo di soddisfarli, ho finito per renderli il problema di tutta la mia infanzia. Vengo da un ambiente rude, volgare, duro. Non avevo un orizzonte davanti a me: direi piuttosto un confine. Il mio posto in questa società era negli abissi, dove la vita offriva solo squallore e sventura: lì, sul fondo, carne e spirito erano ugualmente affamati e tormentati.

Sopra di me troneggiava il colossale edificio della società e nella mia testa l’unica direzione era in salita. Dall’interno di questo edificio presto presi la decisione di arrampicarmi verso l’alto, dove gli uomini indossavano vestiti neri e camicie inamidate e le donne avevano abiti meravigliosi.

[...]

Mi resi conto che non mi piaceva vivere nei salotti della società. Ero intellettualmente annoiato, moralmente e spiritualmente nauseato. Pensai a tutti quegli intellettuali e idealisti, predicatori spretati, professori squattrinati e lavoratori dalla mente lucida con una coscienza di classe. Ricordai le notti e i giorni del sole e delle stelle quando la vita era meraviglia dolce e selvaggia, un paradiso spirituale di avventure generose e di idillio etico. E davanti a me vidi rifulgere nuovamente infuocato il Sacro Graal.

Così tornai alla classe lavoratrice nella quale ero nato e alla quale appartenevo. Non mi interessa più risalire. L’edificio della società che incombeva sul mio capo non conteneva più alcuna promessa di gioia. Sono le fondamenta dell’edificio che mi interessano. Poiché lì sono contento di lavorare, piccozza in mano, a fianco di intellettuali, idealisti e lavoratori con una coscienza di classe, per riuscire ogni tanto a far traballare tutto l’edificio. Un giorno, quando avremo più braccia e piccozze, lo capovolgeremo, e insieme ci libereremo di tutti quei morti insepolti, della vita marcia, del mostruoso egoismo e dell’ottuso materialismo. Dopodiché ripuliremo gli scantinati di questa società e ne costruiremo una nuova, migliore, dove non ci saranno salotti e le stanze avranno grandi finestre luminose e si respirerà un’aria limpida, nobile e onesta.

Questo è il mio orizzonte: attendo con ansia il tempo in cui l’uomo saprà conquistare un progresso che non sia solo materiale, il tempo in cui l’uomo agirà guidato da un incentivo più alto di quello odierno, che è appunto lo stomaco. Continuo a credere nella nobiltà e nell’eccellenza dell’uomo. Credo che la dolcezza spirituale e la generosità sconfiggeranno la volgare ingordigia dei nostri giorni. Infine, ho fede nella classe lavoratrice. Come disse un francese, “sulla scala del tempo riecheggia sempre il suono della scarpa di legno che sale e dello stivale lucido che scende.”


Jack London. Newton, Iowa, novembre 1905

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