A volte l’amicizia è strana: evidenzia percorsi da intraprendere e pensieri da sviluppare. Spesso offre chiavi di lettura di libri che ti appresti a leggere. E così è stato anche in questi ultimi giorni, almeno per me.
Mi ero addentrato da poco nell’intimità dei pensieri di Bianciardi, inchiostrati da par suo tra le pagine de Il lavoro culturale, e mi sono imbattuto in un racconto adolescenziale del proprio paese d’origine. La solita contrapposizione tra le visioni emancipate dei pochi giovani “bruciati”, e quelle dei medievalisti eruditi o dei benpensanti. La solita, sì, quella generazionale, ma non solo. Infatti da una parte ci sono quei giovani visti, appunto, come generazione bruciata: decisi a rompere con le tradizioni ed a rifare tutto daccapo. Ma dall’altra ci sono sempre gli stessi giovani che si contrappongono ai benpensanti anche attraverso la condanna di ogni abuso che colpisca la libertà individuale, quella di migrazione, di affollamento, di promiscuità, di novità. E questo anche attraverso la conservazione (parrà un controsenso, ma non è) di una propria identità paesana fatta di tradizioni, cultura ed urbanistica: la nostra città era bella così e la dovevano lasciar stare, e vivere, e crescere con il suo carattere genuino, una città di sterrati, di spazi aperti, al vento e ai forestieri, come Kansas City.
Da un lato c’è la città nuova, la periferia in espansione, e dall’altro i vecchi percorsi, i vecchi luoghi d’aggregazione, i belvedere, e tutto quello che via via viene risucchiato dal nuovo, o, peggio, cade nell’oblìo, anche attraverso una scarsa attenzione nei confronti della tradizione.
Ci si chiedeva, una sera, dove fosse possibile fermarsi a leggere un giornale fresco d’acquisto se non lungo il solito ed unico marciapiede della Strada Nuova, che puntualmente si lascia vincere dai posteggi, dove ci si potesse aggregare per discutere di politica o di fatti del giorno, dove ci si potesse soffermare per interagire con i paesani ed i forestieri, quale percorso sia ancora oggi possibile, e se ve ne fossero di antichi e non più vissuti né valorizzati.
Ecco: l’idea, la proposta era di istituire un gruppo di ricerca per riscoprire vecchi percorsi ed abitudini dei nostri avi. Un manipolo di persone volenterose e competenti che riscoprano e ripropongano le nostre tradizioni, anche attraverso interviste orali, e vi aggiungano altresì nuove idee conformi allo spirito del luogo.
Insomma, lasciamo da parte i cambiamenti mirabolanti, che sono solo costi aggiuntivi, o gli scempi obbrobriosi per partecipare alle speculazioni, che portano all’annullamento sentimentale, e facciamo crescere il carattere genuino di Fermo, che torni così ad essere una grande opera di consultazione, una specie di enciclopedia, una memoria collettiva, il tutto attraverso il proprio linguaggio, riscoprendone l’essenza e quella misteriosità, che è necessaria perché un luogo trattenga a sé (Pasolini docet).
A volte basta veramente poco per migliorare il posto dove si vive, e spesso basta guardarsi dentro e riscoprirsi, o forse semplicemente conoscersi.
No, non c’è altra possibilità: bisogna lavorare da noi, in provincia, nella nostra città. (Luciano Bianciardi)
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