lunedì 30 marzo 2009

Berluskastra


Sorprendente come i cittadini e i media accettino in massa le sue bugie:

dall'estero

mercoledì 25 marzo 2009

Uniti contro Insieme per


Per contatti telefonare al numero riportato di seguito:

339/3815904 (Paola)

lunedì 23 marzo 2009

Il Papa non capisce l'Africa


Il regista etiope in Italia per presentare il film "Teza"
"Nessuno ci chiede le ragioni di questa epidemia"

"Il Papa non capisce l'Africa
doveva solo chiedere scusa"

di MARIA PIA FUSCO

Haile Gerima

ROMA - "Il Papa, con il suo intervento sui preservativi, è il simbolo della contraddizione umanitaria dell'Europa. Io sono cattolico come mia madre e mio padre era un prete ortodosso, ho problemi a criticare il Papa, ma ha dimostrato di non aver capito l'origine del male e del dolore degli africani. Avrebbe dovuto chiedere scusa per i crimini commessi dai missionari. Sei mesi fa Sarkozy disse che in fondo l'opera dei colonizzatori e dei missionari non stato un male. Non è vero, la Chiesa cattolica è stata la prima a distruggere le tradizioni e il nostro patrimonio spirituale, a bruciare i simboli e la memoria, creando generazioni, come la mia, di persone private del passato". È la reazione del regista Haile Gerima, nato in Etiopia ed emigrato negli Usa, docente onorario alla Howard University di Washington, a Roma per presentare Teza, il film sulle vicende del suo paese da Mussolini ad Hailé Selassiè fino a Menghistu.

"Come Nancy Reagan che in Africa a predicò "No Sex", il Papa ha usato l'Aids per parlare di castità. L'Europa ci manda preservativi, medici, rimedi, noi riceviamo e basta, senza esprimere un parere, la nostra voce non interessa. Nessuno si chiede le ragioni dell'epidemia che colpisce l'Africa, la diseducazione dei giovani che assorbono culture occidentali senza possibilità di confronto con le tradizioni cancellate. Non è il sesso il responsabile dell'Aids . L'Aids, le malattie, la povertà dell'Africa sono un'industria che arricchisce l'élite e i governanti, che, come il Papa e i paesi europei non hanno interesse a cambiare l'immagine che loro hanno dell'Africa. Io faccio cinema. I paesi europei sono felici di finanziare i film sull'Aids, ma guai a proporre una storia sul disagio di vivere in Africa oggi o sulle conseguenze della schiavitù, non mi darebbero un euro. In Italia ad esempio per il film "Adua" di qualche anno fa e per "Teza" sia il Luce che la Rai mi hanno sempre detto no. Eppure Mussolini è morto da 64 anni".

(19 marzo 2009)

venerdì 20 marzo 2009

Così a Gaza abbiamo ucciso civili


Pubblicati su Haaretz. Disprezzo per i palestinesi, culto della
forza fisica, regole d'ingaggio super-elastiche, "piombo fuso"
Racconti shock dei soldati israeliani
"Così a Gaza abbiamo ucciso civili"


E il ministero della Difesa apre un'inchiesta
dal nostro corrispondente ALBERTO STABILE



GERUSALEMME - Eccoli i racconti di guerra, l'ultima, combattuta per tre settimane nella Striscia di Gaza. Racconti che non si vorrebbero mai sentire. Perché non soltanto non c'è niente di eroico, ma c'è molto di raccapricciante e di moralmente rivoltante, in un tiratore scelto che spara su una madre e i suoi due bambini che hanno sbagliato strada, perché così vogliono le regole d'ingaggio, o in un soldato che fa fuoco su una vecchia che cammina smarrita, o su altri giovani in divisa che abusano della loro forza per danneggiare, deturpare, offendere una popolazione civile palestinese che, in fin dei conti, viene considerata tutt'uno con il nemico combattente.

Questo e molto altro ancora lo si è appreso non dalla propaganda palestinese, ma dai racconti dei diretti interessati, decine di allievi dell'accademia Yitzhak Rabin, convenuti lo scorso 13 febbraio per discutere le loro esperienze nell'ambito dell'Operazione "Piombo fuso". Racconti duri, pesanti come macigni, capaci creare molto imbarazzo ai vertici delle forze armate. Al punto che il procuratore militare, quasi a voler bilanciare l'inevitabile scalpore con un gesto rassicurante, ha deciso di rendere pubblica la decisione di aprire un'inchiesta.

È stato Haaretz a svelare i contenuti di quella riunione. Ma il merito di aver fatto scattare l'allarme su tutto ciò che queste testimonianze implicano, va al direttore del programma pre-militare dell'accademia, Danny Zamir, che, sentiti i resoconti fatti dai giovani ma già esperti allievi, s'è rivolto direttamente al Capo di Stato maggiore, Gaby Ashkenazy.

"C'era un casa con dentro una famiglia - ricorda il comandante di una piccola unità di fanteria - . Ordinammo alla famiglia di stare tutti in una stanza. Poi ce ne andammo e arrivò un nuovo plotone. Dopo alcuni giorni venne l'ordine di rilasciare la famiglia. Avevamo messo un tiratore scelto sul tetto. Il comandante rilasciò la famiglia, dicendo loro di andare verso destra, ma dimenticò di avvertire il tiratore scelto che quella gente veniva liberata e che era tutto ok, e non avrebbe dovuto sparare". Anziché a destra, la madre coi due figli prende a sinistra. Il cecchino li vede avvicinarsi alla linea che, secondo quanto gli era stato detto, nessuno avrebbe dovuto oltrepassare. Così "ha sparato subito, uccidendoli".

"Non credo - continua la testimonianza - che si sia sentito troppo male. L'atmosfera generale, da quello che ho capito parlando coi miei uomini, era, come dire, che le vite dei palestinesi sono molto, molto meno importanti delle vite dei nostri soldati".

Regole d'ingaggio assai elastiche, "disprezzo sfrenato", culto della forza fisica, il pregiudizio che "i palestinesi sono tutti terroristi", questa la miscela esplosiva che ha portato agli eccessi che le organizzazioni umanitarie hanno denunciato come crimini di guerra. Un'accusa che Israele ha respinto, ribattendo che le perdite tra i civili palestinesi sono state causate dal fatto che i miliziani di Hamas si facevano scudo della popolazione che affolla i centri abitati, nel cuore dei quali, però, l'esercito israeliano non ha esitato ad adoperare una potenza devastante.

Qui tuttavia non si parla né di bombe al fosforo né di altri micidiali ordigni sconosciuti. Si parla, per quanto possa sembrare fuori logo trattandosi di una guerra, di morale. Non è un caso che il ministro della Difesa, Ehud Barak, si sia precipitato a ribadire che l'esercito israeliano "è la forza armata più morale che esista al mondo". Aggiungendo che, al massimo, quelli da chiarire sono "episodi individuali".

Non la pensano così, invece, i protagonisti dei racconti. A parte alcuni casi di fuoco senza avvertimento contro civili, un comandante descrive alcuni episodi di vandalismo. "Scrivere "morte agli arabi" sui muri (delle case occupate), prendere le foto di famiglia e sputare su di esse soltanto perché lo puoi fare, credo che questa sia la cosa più importante per capire quanto le forze armate israeliane siano precipitate sul piano della morale".

(20 marzo 2009)

http://www.repubblica.it/2009/03/sez...za-civili.html

martedì 17 marzo 2009

Neofascisti e destra di governo a braccetto con nostalgia


Esce "Bande nere", un libro in cui Berizzi racconta chi sono, come vivono
e chi protegge i nuovi "balilla". Un'inchiesta tra partiti, stadi, scuole e centri sociali

di PAOLO BERIZZI


C'è il ministro della difesa La Russa che posa con un "camerata" di una famiglia mafiosa siciliana, i Crisafulli, narcotraffico e spaccio di droga a Quarto Oggiaro, periferia nord di Milano. C'è il suo collega di partito e di governo, il ministro per le politiche europee Ronchi, con uno dei fondatori del circolo nazifascista Cuore nero: quelli del brindisi all'Olocausto.

Lui si chiama Roberto Jonghi Lavarini e presiede il comitato Destra per Milano (confluito nel Partito della libertà). Sostiene le "destre germaniche", il partito boero sudafricano pro-apartheid - il simbolo è una svastica a tre braccia sormontata da un'aquila - e rivendica con orgoglio l'appartenenza alla fondazione Augusto Pinochet. In un'altra foto compare a fianco del sindaco di Milano, Letizia Moratti. Poi ci sono gli stretti rapporti del sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, con l'ultra-destra violenta e xenofoba del Veneto Fronte Skinhead. Ruoli istituzionali, incarichi, poltrone distribuiti ai leader delle teste rasate venete, già arrestati per aggressioni e istigazione all'odio razziale.

Fascisti del terzo millennio
Almeno 150 mila giovani italiani sotto i 30 anni vivono nel culto del fascismo o del neofascismo. E non tutti, ma molti, nel mito di Hitler. Un'area geografica che attraversa tutta la penisola: dal Trentino Alto Adige alla Calabria, dalla Lombardia al Lazio, da Milano a Roma passando per Verona e Vicenza, culle della destra estrema o, come amano definirla i militanti, radicale. Cinque partiti ufficiali (Forza Nuova, Fiamma Tricolore, la Destra, Azione Sociale, Fronte Sociale Nazionale) - sei, se si considera anche il robusto retaggio di An ormai sciolta nel Pdl. I primi cinque raccolgono l'1,8 per cento di voti (tra i 450 e i 480 mila consensi). Ma a parte le formazioni politiche, l'onda "nera" - in fermento e in espansione - si allunga attraverso un paio di centinaia di circoli e associazioni, dilaga nelle scuole, trae linfa vitale negli stadi.

Sessantatre sigle di gruppi ultrà (su 85) sono di estrema destra: in pratica il 75 per cento delle tifoserie che, dietro il "culto" della passione calcistica, compiono aggressioni e altre azioni violente premeditate. La firma: croci celtiche, fasci littori, svastiche, bandiere del Terzo Reich, inni al Duce e a Hitler. Sono state 330 le aggressioni da parte di militanti neofascisti tra 2005 e 2008. Concentrate soprattutto in tre aree del paese: il Veneto (Verona, Vicenza, Padova), la Lombardia (Milano, Varese) e il Lazio (Roma, Viterbo). Sono i vecchi-nuovi "laboratori" dell'estremismo nero. Con Roma - anche qui - capitale.

Dalle scuole ai centri sociali
Dai centri sociali di destra alle occupazioni a scopo abitativo (Osa) e non conformi (Onc). Dalle aule dei licei a quelle delle università. Dai "campi d'azione" di Forza Nuova ai raid squadristi delle bande da stadio che si allenano al culto della violenza. La galassia del neofascismo si compone di più strati: e anche di distanze evidenti. L'esperimento più originale è quello di CasaPound a Roma, il primo centro sociale italiano di destra. Da lì nasce Blocco studentesco, il gruppo sceso in piazza contro la riforma della scuola. Una tartaruga come simbolo, i militanti si battono contro l'"affitto usura" e il caro vita. Il leader è Gianlcuca Iannone, anima del gruppo ZetaZeroAlfa: musica alternativa, concerti dove i militanti si divertono a prendersi a cinghiate.

A Milano c'è Cuore Nero. Il circolo neofascista fondato da Roberto Jonghi Lavarini e dal capo ultrà interista Alessandro Todisco, già leader italiano degli Hammerskin, una setta violenta nata dal Ku Klux Klan che si batte in tutto il mondo per la supremazia della razza bianca. Dopo l'attentato incendiario subito l'11 aprile del 2007, i nazifascisti di Cuore nero ringraziano in un comunicato ufficiale tutti coloro che gli hanno espresso solidarietà e sostegno: tra gli altri, "in particolare", la "coraggiosa" onorevole Mariastella Gelmini, all'epoca coordinatrice lombarda di Forza Italia e attuale ministro dell'Istruzione.

Saluti romani, pistole e 'ndrine
La famiglia calabrese dei Di Giovine e quella siciliana dei Crisafulli, la destra in doppiopetto di An e quella estremista di Cuore nero. A Quarto Oggiaro, hinterland milanese, la ricerca del consenso politico incrocia sentieri scivolosi. A fare da cerniera tra le onorate famiglie - che gestiscono il mercato della droga -, le teste rasate e il Palazzo è sempre lui, il "Barone nero" Jonghi Lavarini. Quello fotografato con il ministro Ronchi e il sindaco Moratti. Quello che presenta a Ignazio La Russa Ciccio Crisafulli, erede del boss mafioso Biagio "Dentino" Crisafulli, in carcere dal '98 per traffico internazionale di droga. Camerata dichiarato, il rampollo Crisafulli frequenta Cuore nero così come il cugino James. A lui sarebbe stata dedicata la maglietta "Quarto Oggiaro stile di vita", prodotta dalla linea di abbigliamento da stadio "Calci&Pugni" di Alessandro Todisco. L'avvocato Adriano Bazzoni è braccio destro di La Russa. C'è anche lui in una foto con Lavarini e con Salvatore Di Giovine, detto "zio Salva", della cosca calabrese Di Giovine. Siamo sempre a Quarto Oggiaro, prima delle ultime elezioni politiche.

(17 marzo 2009)

sabato 14 marzo 2009

Autoritarismi a Fermo


Tralasciando il fatto, non da poco, riguardante la modalità della ricusazione della concessione della Sala Multimediale - regolarmente richiesta ed accordata nei tempi dovuti - avvenuta un giorno prima l’evento previsto (il 12 c.m.), che ha creato una serie di problemi logistici ed organizzativi. Tralasciando anche il fatto che la legge italiana che si presume - erroneamente - possa impedire un dibattito sulle Foibe (cosa invece prevista, basta leggere la legge stessa: “È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende…) è stata trovata alla prima voce di Google, conseguenza di una evidente imbeccata degli uomini di Aries e Terza Via, gente che usa scrivere “Shoà”. A parte tutto questo, già bastante a screditare definitivamente l’operato approssimativo di questo Sindaco e della sua attuale Giunta, bisogna ricordare a questi personaggi, che si improvvisano politici della nostra città determinandone i destini, ed a tutti i cittadini, che in questo territorio sono stati organizzati eventi ed incontri con gente condannata in primo grado o definitivamente, concerti di gruppi neofascisti e neonazisti, iniziative tese a riabilitare sanguinari dittatori del calibro di Mussolini, quando l’apologia del fascismo è, questa sì, anticostituzionale.

E’ evidente l’intento di questo Sindaco di raggranellare voti accontentando quelle forze di estrema destra che lo sostengono, al punto di usare arbitrariamente la politica del bastone e della carota, che lo qualifica per quello che è, un improvvisatore della politica stessa, un uomo senza ideali prestato all’amministrazione comunale per affare, e che fa tutto questo mostrando limiti democratici preoccupanti ed imbarazzanti.

Tutte le forze comuniste della città solidarizzano col Collettivo Antifascista del Fermano al fine di stigmatizzare la deriva autoritaria che sta prendendo sempre più piede in questa amministrazione comunale.

P.s. L’iniziativa si è poi svolta nella sede dell’A.N.P.I. di Fermo, e la Kersevan, che è stata esauriente, farà un esposto alla magistratura riguardo questa inammissibile censura.

lunedì 9 marzo 2009

Restiamo umani...


Per questo Italia, USA e Canada diserteranno la conferenza Onu sul razzismo.
LE FRASI INCRIMINATE
- La bozza del testo finale della conferenza Onu sul razzismo contiene accuse durissime contro Israele. La politica nei territori palestinesi, si legge nel testo anticipato sul sito di Haaretz, costituisce «una violazione dei diritti umani internazionali, un crimine contro l'umanità e una forma contemporanea di apartheid». La conferenza è un seguito di quella che si svolse nel 2001 a Durban, in Sudafrica, in un crescendo di polemiche fra la richiesta di un risarcimento per la schiavitù negli Stati Uniti e quella di equiparare razzismo e sionismo. Allora Stati Uniti e Israele abbandonarono i lavori. Questa volta hanno annunciato preventivamente che diserteranno l'appuntamento. Fonti Onu, citate da Haaretz, riferivano che Iran e Siria hanno preso la guida della stesura della bozza e c'è la diffusa impressione che diversi Paesi arabi e musulmani vogliano usare la conferenza per attaccare Israele. In altri stralci del testo si esprime «profonda preoccupazione per le discriminazioni razziali compiute da Israele contro i palestinesi e i cittadini siriani nel Golan occupato». Israele viene accusato di «tortura, blocco economico, gravi restrizioni di movimento e chiusura arbitraria dei territori» e definito «una minaccia per la pace internazionale».

La decisione del ministro degli Esteri Franco Frattini di non partecipare alla conferenza dell’Onu sul razzismo,
la dice lunga su che valore hanno i diritti umani per l'attuale governo italiano.

Come se non fosse stato abbastanza vedere Berlusconi e i suoi tifare per le bombe mentre di qua i bambini venivano fatti a pezzi come fossero bambole di pezza,
(450 bimbi sterminati, più di 1500 gli amputati e seriamente feriti),
ora dobbiamo sorbirci questo avallo di sovranità in favore di un indegno servilismo filo-USA e pro-Israele.

Franco Frattini ha giudicato alcune frasi della bozza di dichiarazione finale dell"ONU “aggressive e antisemite”.
Il documento esprime infatti una critica durissima nei confronti della politica israeliana nei territori palestinesi occupati.
Cosa dichiara il documento in questione?
Dice semplicemente che la condotta tenuta da Israele rappresenta “una violazione dei diritti umani internazionali, un crimine contro l'umanità e una forma contemporanea di apartheid”.

Esattamente le stesse cose che ripetono instancabillmente da anni,
i premi Nobel Desmond Tutu, Nelson Mandela e Jimmy Carter,
Wole Soyinka e José Saramago.

Le stesse cose che qualsiasi mente libera e sensibile alla sofferenza di civili innocenti
rileverebbe facilmente volgendo uno sguardo su questa martoriata terra.

Invitiamo Silvio Berlusconi e i suoi a farci visita,
presidente,
anche alla sua onorevole età non è mai troppo tardi per rimanere umani.

Vik. (Vittorio Arrigoni da Gaza)

giovedì 5 marzo 2009

La riscoperta di Marx


Sorpresa, torna di moda Karl Marx. Centosessant’anni dopo il suo Manifesto del Partito comunista, i suoi libri, in particolare Il Capitale, riemergono dai magazzini, le librerie li espongono e li vendono. Lo ha detto alla Buchmesse, il Salone de libro di Francoforte, Joern Schuetrumpf, il manager della casa editrice berlinese Karl-Dietz che pubblica le opere di Marx e Friedrich Engels in tedesco. Le vendite del primo volume dell’opera, ha spiegato Schuetrumpf, sono triplicate dal 2005. Rispetto ai 500 libri venduti tre anni fa, infatti, quest’anno ne sono stati già venduti 1.500. E lo dicono anche editori e giornali inglesi, così come in Italia proprio quest’anno sono stati ripubblicati suoi libri esauriti in pochi mesi. Un ritorno di fiamma dunque, di cui parliamo con Luciano Canfora, storico dell’antichità noto in tutto il mondo ma da sempre grande cultore del marxismo.

C’entra qualcosa la crisi finanziaria mondiale con questa riscoperta del padre del comunismo? «Io credo che il comunismo non c’entri nulla, molto invece c’entra l’analisi sul capitalismo che ha prodotto Marx. Finora l’unico ad aver azzardato uno studio complessivo su tutto il meccanismo economico che dominava allora la società e la domina ancora oggi, seppure in forme diverse, moderne, globalizzate. D’altra parte non è la prima volta che Max torna di moda, ricordo che nel ‘91, all’indomani del crollo dell’Urss, il Wall Street Journal pubblicò un articolo in cui invitava a leggere il Capitale. E quel giornale non è certo un covo di estremisti comunisti...».

Ma Marx ha elaborato le sue analisi un secolo e mezzo fa, possibile che siano ancora valide oggi? «E’ valido il modello scientifico, analitico, che lui usa e che è opera di un genio mai apertamente riconosciuto dall’accademia ufficiale: lui in fondo era un outsider, non un economista, si era laureato in filosofia antica con una tesi su Democrito. Eppure è ancora l’unico che ha tentato, con successo, un’interpretazione complessiva della società capitalistica. Non era facile, era un azzardo che però ha funzionato. Basti pensare al modo di produzione. Non si tratta di questo o quel modo, ma proprio del concetto stesso. Che si può applicare a qualsiasi produzione vigente in qualsiasi momento storico, anche a quella letteraria. E che – ed è questa la straordinaria intuizione di Marx – condiziona, modifica, plasma la società in cui opera. Le faccio due esempi: la cultura medievale ha molto a che fare col feudalesimo, quella antica con la schiavitù. Discorso che vale per ogni epoca e quindi anche oggi».

Ci faccia un esempio attuale, professore. «Marx individuò e spiegò molto bene la questione dell’esercito di riserva, che erano i disoccupati di Manchester. Oggi quell’esercito di riserva non solo esiste ma si è diffuso su scala planetaria. Sono gli immigrati, pronti a prendere il posto lasciato dei lavoratori occidentali: a basso costo, con meno o addirittura senza diritti e garanzie sociali, più ricattabili, pronti a svolgere qualsiasi mansione, anche le peggiori. Oggi sono loro quei disoccupati di Marx, moltiplicati per un miliardo.»

Ma lei vede qualche nesso tra la crisi finanziaria che ha colpito il mondo e la riscoperta di Marx?
«Il primo nesso lo vedo perché fu proprio Marx a profetizzare la nascita e la crisi del capitalismo finanziario. Purtroppo però lo fece nel terzo libro del Capitale, cioè quello rimasto incompiuto». E l’altro nesso? «Nelle risposte che si cerca di dare alla crisi. Oggi, come durante la grande depressione degli Anni Trenta. Da dove altro viene se non da Marx l’idea dell’intervento pubblico nell’economia? Lo fece Roosevelt, che i suoi nemici accusavano di essere un cripto-comunista ancor prima della guerra e del patto con Stalin. Lo praticano oggi governi di centrodestra come quelli americani, francese e italiano. E lo praticarono regimi come quello nazista e quello fascista, che avevano qualcosa di socialista (e non solo nel nome o nelle origini dei loro leader)».

Dunque un Marx trasversale che va bene per tutti? «Va bene perché aveva ragione, poi ognuno ne può usare un pezzo, magari anche strumentalmente. Tuttavia è evidente che anche la destra, qualsiasi destra voglia essere popolare e non elitaria, ha bisogno di Marx. Ha bisogno di mutuare concetti della sinistra, altrimenti non avrebbe alcun consenso di massa. Se il nazismo non avesse fatto leva sul movimento di massa, spaccandolo in due, la Germania sarebbe finita nelle mani dei comunisti sostenuti dall’altra metà di quel movimento».

E Berlusconi, anche lui utilizza Marx? «Non so se consapevolmente o meno, ma certamente sa essere popolare, è capace di ottenere un consenso forte dalle masse. In questo si rivela molto intelligente, così come Tremonti che Marx l’ha certamente studiato».

E la sinistra italiana, che rapporto ha attualmente col suo vecchio padre o nonno? «Nessuno direi. Bertinotti, che pure Marx lo conosce e lo ama, ormai mi sembra concentrato su altre culture, l’ecologismo, il pacifismo, rispettabili, per carità, ma altra cosa. Gli altri invece, pensano a Kennedy o a Clinton senza neanche rendersi conto che loro sono politicamente figli di Roosevelt che a sua volta, per certi aspetti, era figlio di Marx».

Canfora, ma lei si considera ancora comunista? «Certo. Il comunismo è un’istanza che l’uomo si porta dentro da millenni, pensi che lo era già Platone. Non a caso Aristotele lo rimproverò, spiegandogli che sbagliava perché la proprietà privata è essenza dell’uomo. La storia, la pratica, i fallimenti di quell’idea danno ragione ad Aristotele, ma io la penso ancora come Platone».

Riccardo Barenghi

Di questi articoli ne potete trovare a bizzeffe, in italiano o in altre lingue, più o meno condivisibili, ma comprovanti la riscoperta del maestro dell'economia moderna.

Difatti è acclarato che si stia riscoprendo, anche da parte di chi, strumentalmente o per ignoranza, non lo conosceva e non l'aveva mai studiato. Questo fatto è acclarato. Poi, ad ognuno il suo. Ma Marx è più attuale oggi che ieri, proprio perché oggi si vedono i frutti marci prodotti dal capitalismo in crisi, dal suo cadavere putrefatto dato ancora per vivo.

martedì 3 marzo 2009

Lista unitaria anticapitalista e comunista


Accelerare il processo di costruzione di una lista unitaria anticapitalista e comunista

di Fosco Giannini

su altre testate del 01/03/2009

Elezioni europee: accelerare il processo di costruzione di una lista unitaria anticapitalista e comunista Comunicato stampa di Fosco Giannini (direzione nazionale PRC), a nome de l’Ernesto – 1 marzo 2009

1. Dopo alcuni incomprensioni, il cui rapido superamento – cui abbiamo fortemente contribuito – ne dimostra il carattere non strutturale, è in atto un processo positivo di accelerazione della costruzione di una lista unitaria della sinistra anticapitalistica e comunista alle elezioni europee, che faccia riferimento al gruppo parlamentare europeo (GUE-NGL), in cui convergono i partiti comunisti e di sinistra alternativa dell’Unione europea.

2. Lavoriamo per una lista aperta ai movimenti di lotta, che sotto il simbolo della falce e martello - da sempre riferimento per i comunisti ma anche per le sinistre del movimento operaio e del lavoro (le due cose sono complementari) - sappia suscitare una motivata passione popolare per una sinistra comunista che sia perno di una più vasta unità d’azione a livello sociale, sindacale, di movimento, politica.

3. Essa va costruita fin da oggi anche dal basso, con la costruzione in ogni luogo territoriale o di lavoro, grande e piccolo, di spazi di iniziativa sociale e politica unitaria, nel conflitto sociale. Non deve essere solo strumento di mobilitazione elettorale (certo, anche); deve saper ricostruire un consenso sociale e politico credibile con una iniziativa radicata e duratura, non congiunturale o meramente propagandistica. Ciò significa saper parlare credibilmente ai soggetti sociali più colpiti dalla crisi, non solo alle persone più politicizzate, unificando con obiettivi di lotta appropriati lavoratori occupati, disoccupati e precari, nord e sud del Paese.

4. Costruire una lista unitaria con tali caratteristiche (capace così di superare la soglia ardua del 4%) implica, da parte di ognuno, la necessità di porre l’accento su ciò che unisce, al di là delle differenze fisiologiche di cultura politica e di progetto, che. non vanno continuamente esasperate e di cui si discuterà a suo tempo. Facciamo tesoro della massima saggia e antica per cui a volte il meglio è nemico del bene. Ciò significa anche rispettare la dignità di ogni soggetto, bandire ogni spirito annessionistico, e procedere rapidamente – senza ulteriori indugi e ondeggiamenti - evitando ogni settarismo e ogni polemica superflua, da ogni parte.

domenica 1 marzo 2009

Quella di Pasolini fu una esecuzione politica


su Contropiano del 27/02/2009

Gli assassini erano cinque ed erano legati ai poteri forti. Nuove dichiarazioni di Giuseppe Pelosi, condannato per l’omicidio del poeta.

Giuseppe Pelosi, condannato per l'omicidio di Pierpaolo Pasolini, fa un ulteriore passo avanti verso la verità sull' uccisione del poeta. La notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975 erano in cinque a massacrare di botte il saggista che aveva denunciato i retroscena del potere e che stava lavorando al romanzo "Petrolio" dedicato a Eugenio Cefis, indicato come il vero fondatore della P2 e il "grande manovratore" del potere più oscuro.
Pelosi non incontrò casualmente il regista quella sera; c'era un appuntamento fissato esattamente una settimana prima. Pelosi rivela, in una intervista inedita a Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - autori del volume "Profondo nero. Mattei, De Mauro, Pasolini. Un'unica pista all'origine delle stragi di Stato", appena uscito per Chiarelettere - che tra quei 5 c'erano i due fratelli Borsellino, Franco e Giuseppe, morti da tempo di aids.

Il nome dei due non è nuovo. Già una informativa di due mesi dopo il delitto li indicava, assieme ad un terzo, come gli autori del massacro dell'Idroscalo. Ora Pelosi ne conferma direttamente la responsabilità ed anche il contesto in cui avvenne il pestaggio mortale e dice che sono rimasti nell'ombra gli altri tre (anche se uno potrebbe essere, nonostante le smentite di Pelosi, Giuseppe Mastini, detto Jhonny lo Zingaro), e soprattutto che si trattò di un omicidio politico.
I due Borsellino erano frequentatori della sezione dell'Msi del Tiburtino. "Se tu uccidi in questo modo o sei pazzo o hai una motivazione forte. Se gli assassini sono stati fatti sfuggire alla giustizia per trent'anni, pazzi non sono certamente ..avevano una ragione importante per fare quello che hanno fatto. E nessuno li ha mai toccati.". "Quella sera c'erano pure Franco e Giuseppe Borsellino... quei due stavano tramando qualcosa, qualcosa di brutto me ne sono accorto subito, e perciò gli ho detto chiaro che io non volevo partecipare, non ne volevo sapere nulla". Appena arrivato all'Idroscalo sulla Gt di Pasolini dal buio esce una macchina scura, un 1300 o un 1500 da cui scendono 5 persone. Uno, con la barba sui 40 anni, assesta a Pelosi un cazzotto. Pelosi scappa dopo essere stato minacciato. I 5 tirano fuori Pasolini dalla macchina e iniziano il pestaggio. Gli dicevano "Sporco comunista, frocio, carogna". Pelosi si riavvicina quando tutto è finito.
Il problema, quindi, sono gli altri tre, quelli mai individuati. I Borsellino - dice Pelosi - erano "diventati fascisti, andavano a fare politica". Pelosi conferma di aver avuto nel tempo minacce "vere e proprie", inviti a tacere. Quella data a Pasolini fu una lezione, una punizione, "forse dovuta al partito o alla politica. Pasolini stava sul cacchio a qualcuno". Alla fine "ho pagato solo io" spiega Pelosi che rivela un'altra novità. La scelta di accollarsi tutta la storia, di ridurre tutto "a un fatto di froci" gli venne suggerita dal suo avvocato difensore, Rocco Mangia. Questo avvocato era subentrato a due colleghi, gli Spaltro che si erano proposti di difendere Pelosi con uno stratagemma: avevano millantato una sorta di mandato avuto da "zio Giuseppe", solo che Pelosi non aveva alcun zio con questo nome.
Poi arrivò Mangia, portato dai genitori di Pelosi. Lui puntò tutto,diversamente dagli avvocato Spaltro, sull'occultamento del ruolo del commando dei 5 nell'omicidio. Rocco Mangia nominò come consulenti Aldo Semerari e Fiorella Carrara, i due periti utilizzati spesso dalla banda della Magliana per avere delle false perizie.
Alla fine tutti i periti, compresi quelli nominati dai magistrati, sostennero che Pelosi quella sera non era in grado di intendere e di volere ma la giuria smentì questa unanime valutazione: Pelosi si fece 9 anni, 7 mesi e 10 giorni di galera. "Ho pagato solo io che avevo 17 anni, forse perché ero il 'gaggio' di zona...come si dice a Roma...il più scemo".

Quello che i comunisti devono fare


QUELLO CHE I COMUNISTI DEVONO FARE *

* Il Manifesto, martedi 24 febbraio

Di Fosco Giannini *

* direttore de l’ernesto


Siamo di fronte ad un regime reazionario in costruzione e non tutti ne hanno percezione. Scriveva Dino Greco il 10 febbraio, su Liberazione: Quello che Berlusconi sta provando a determinare è lo smottamento della democrazia costituzionale. Quali esempi possono essere evocati per cogliere il senso profondo di questa caduta verticale della democrazia? La vigilia del 1925 nell’Italia dell’incombente regime fascista?L’assolutismo regio riassunto dalla celebre frase di Luigi XV , l’ètat c’est moi?

Vi è il tentativo di portare la spallata finale: ulteriori colpi alla Costituzione, dentro il progetto più ampio di provocare una crisi istituzionale volta alla fuoriuscita dagli assetti nati dalla Resistenza; attacco violento al contratto nazionale di lavoro; chiusura di fatto del Parlamento, ridotto ad uno spazio “sordo” volto alla decretazione d’urgenza e alla dittatura della maggioranza; leggi razziali; liceità istituzionale delle squadracce verdi – fasciste, con tanto di salario statale.

Tutto ciò dentro la crisi profonda della sinistra, delle forze comuniste, del movimento sindacale, una crisi che trova le sue basi anche nel fallimento del governo Prodi e nella subordinazione delle forze d’alternativa a quelle moderate e di centro. Un fallimento, quello dell’esperienza Prodi, che i vendoliani scissionisti rimuovono, riproponendo, come se il 13 e 14 aprile 2008 non ci fossero mai stati, sia il superamento del Partito Comunista che un nuovo centrosinistra con il PD colonna portante.

E sopra tutto volteggia la cosiddetta “crisi del capitale”, che evoca un milione di nuovi disoccupati.

Una forza immane, di segno reazionario, incombe sul movimento operaio complessivo e sulla democrazia.

Il capitale ha in mano i partiti della maggioranza, giornali, televisioni, esercito, polizia, che da Genova in poi sono sempre più fuori dalle caserme e sempre più presenti nelle strade.

E siamo di fronte ad un senso comune di massa in buona parte inquietante e reazionario.

Di fronte a tutto ciò qual è la natura e la forza dell’opposizione?

Il PD, ormai collocato nell’area liberista (pagandone il prezzo) ha problemi seri a schierarsi anche con la CGIL; Sinistra Democratica e i vendoliani usciti si illudono ancora di giungere a redistribuzioni del reddito da conquistare senza conflitto sociale e con un compromesso buono coi padroni; la Cgil non sembra in grado di garantire quel ciclo di lotte necessario al cambiamento dei rapporti di forza sociali.

Siamo di fronte ad una titanica macchina da guerra padronale. Contro questa chi si batte? PRC e PdCI, le cui “basi” rappresentano, insieme, il nocciolo più duro e avanzato della resistenza sociale, contano comunque su circa 100 mila iscritti e dunque su circa 10/15 mila militanti, che dovrebbero sostenere la lotta sull’intero campo nazionale.

Oltre ciò, spezzoni: sindacalismo di base, associazioni, gruppi, movimenti, altre piccole formazioni anticapitaliste che insieme, tuttavia, non raggiungono ancora quella massa critica sufficiente ad organizzare una resistenza vera al potere del capitale.

Rispetto a tutto ciò vi è chi, contro il progetto dell’unità delle forze comuniste e anticapitaliste, pone (nell’obiettivo non innocente di esasperare le differenze, piuttosto che cucire i punti di unità) questioni di tipo ideologico, filosofico, politico; questioni in giuste, nel senso che rimandano ai problemi del processo unitario. Ma il punto è che di fronte al pericolo che viviamo chi si schiera contro questa unità ricorda i teologici di Bisanzio che nei giorni dell’assedio discettavano sul sesso degli angeli.

Vi è invece un obiettivo da cogliere: dare speranza e organizzare il popolo comunista e anticapitalista disperso nella diaspora. Centinaia di migliaia sono le comuniste/i che sono uscite/i – delusi - dai due partiti comunisti maggiori; altri sono micro organizzati in un pulviscolo rosso. Di fronte a ciò, abbiamo un compito: ricostruire un intento unitario, una nuova passione che possa riaggregare la diaspora, conquistare le giovani generazioni e costruire un partito comunista all’altezza dei tempi, in grado di offrirsi come cardine dell’unità dell’intera sinistra d’alternativa.

Da questo punto di vista va salutata positivamente la scelta del PRC di una lista unitaria (“comunista e anticapitalista”) per le elezioni europee.

Una lista che nasca non come l’Arcobaleno e cioè in un laboratorio politicista, lontano dalle masse, dai militanti e deprivata di simboli e politiche forti; ma nel conflitto sociale condiviso dalle forze comuniste e anticapitaliste che la compongono e attraverso una grande passione popolare che tutti siamo chiamati a costruire.

Per costruire l’unità occorre che nessun soggetto, nemmeno il PRC, si ponga in modo “padronale”.Ciò vale sia per la messa a fuoco della lista che per il simbolo. E vanno apprezzate due parole –chiave che segnano il documento della Direzione del PRC: si dice infatti che Rifondazione promuove la lista unitaria (non che la costruisce da sé) e che il simbolo (che dovrà essere quello della falce e il martello, senza il quale l’Arcobaleno si era suicidato) sarà determinato a partire da quello del PRC; cosa che, inequivocabilmente, vuol dire che alla fine sarà un simbolo diverso da quello di Rifondazione, che potrà rappresentare tutti i soggetti della lista unitaria.

Da tempo poniamo il problema dell’unità dei comunisti. Sappiamo che tale unità non si costruisce in un passaggio elettorale, ma nel conflitto sociale condiviso e nella ricerca politica e teorica aperta, che parta da un’autocritica profonda dei due partiti comunisti maggiori – PRC e PdCI – e che punti a ricostruire un partito comunista all’altezza delle nuove – e spesso ancora sconosciute – contraddizioni capitalistiche. Tuttavia la lista unitaria, che deve unire le comuniste/i già ora nel conflitto sociale, nella campagna elettorale e in un progetto anti Maastricht (dunque anticapitalista e antimperialista) ha le potenzialità per avviare un iniziale percorso unitario dal carattere strategico.