venerdì 24 settembre 2010

L'Onu sulla flottiglia turca di maggio: Israele commise tortura e omicidio


La scienza avanza per eresie. L’uomo evolve attraverso il pensiero estremo, rivoluzionario. La verità non sta nel mezzo, ma in profondità, ci si arriva scavando, approfondendo. Vivere è trasgredire. La civiltà è un atto brutale contro natura. Tutto questo afferma l’uomo in rivolta. In rivolta anche con il pensiero uniformato, con l’informazione di regime, con la violenza del potere, e degli Stati che lo detengono.

La rivolta palestinese è contro l’invasione israeliana. Gli uomini di Palestina sono in rivolta, giudicano inaccettabili nuovi comandi, nuovi soprusi, nuove oppressioni. E coloro che hanno sostenuto e sostengono ancora la causa palestinese sono anch’essi uomini in rivolta. Il 21 maggio scorso alcuni di questi uomini partirono per arrivare A Gaza, per portare aiuti umanitari, per testimoniare una presenza, per incoraggiare a resistere. L’esercito israeliano li fermò, e ne uccise brutalmente alcuni, assaltando le loro imbarcazioni in acque internazionali. Fu uno dei tanti atti criminali commessi da Israele. I volti ed i nomi dei quei morti ammazzati non li scordò nessuno, semplicemente perché nessuno li vide o lesse. Solo in pochi abbiamo avuto il coraggio da subito di condannare quell’atto criminale, come da subito abbiamo sempre condannato tutti gli atti criminali commessi da Israele. Per farlo siamo andati contro, ci siamo rivoltati al sentire comune, ci siamo distinti dal gregge idiota che giustifica l’oppressore. Abbiamo fatto di più. Abbiamo scovato quei volti, li abbiamo mostrati; abbiamo trovato i nomi di quei volti, li abbiamo scritti. Quelle persone sono tornate a vivere nella memoria di chi le ha conosciute, anche solo nella fissità di una foto o nella distanza formale di un nome. Non era giustizia, perché non c’è giustizia nell’omicidio, ma una forma d’esistenza. Per coloro che muoiono nell’esercizio della loro causa, far vedere la propria morte è l’unica maniera di esistere.

Noi abbiamo ricordato quei nomi, li abbiamo fatti esistere. Un atto dovuto, ma destinato a rimanere tale. Quella che continua, che resiste all’usura del tempo, è la causa. Resiste la sua nobiltà che, in questo caso, esige una forma di giustizia. Quegli uomini morti in rivolta non ci sono più individualmente, sono confluiti senza forma all’interno della loro causa.

Per questo oggi noi possiamo parlare di una forma di giustizia, seppur limitata. Non per quegli uomini, appunto, ma per la loro causa. Oggi l’ONU ci dice che “Israele commise tortura e omicidio”, che usò “brutalità inutile e inaccettabile” e che è consentito un eventuale procedimento penale per “i crimini seguenti: omicidio intenzionale, tortura o trattamenti inumani, grandi sofferenze o ferite gravi inferte intenzionalmente”.

Non è altro che un piccolo sasso sotto l’enorme zampa del tiranno, ma va ad assommarsi agli altri sassi, e tutti insieme formano un percorso di rivolta, che forse un giorno i nostri discendenti ricorderanno con indulgenza mista a fiera riconoscenza.

“Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando.“

Albert Camus, L’uomo in rivolta

mercoledì 15 settembre 2010

L'informazione che non c'è

Il mio pezzo di ieri per Peacereporter:

Ieri nell’obitorio di Beit Hanoun, dinnanzi a me mutilato, stava disteso il vero volto dei negoziati di pace.
Nelle celle frigoriferi spalancate i veri frutti dei colloqui voluti da Benjamin Netanyahu, la pratica della pace israeliana che mentre in gessato scuro con una mano ingessata dà pacche sulle spalle ai pupazzi di Ramallah, con l’altra armeggia il tritacarne di una occupazione mai disinnescata.
I volti delle ultime vittime civili palestinesi presentano le scarificazioni del rituale dello Shalom come è inteso da Netanyahu, e prima di lui da Olmert, da Sharon, da Perez, da Rabin, da Golda Meir fino a Ben Gurion, e ancora prima negli spregevoli piani prospettati a fine ottocento da Theodor Herzl.
Un vivere in pace che nella visione sionista è sinonimo di pulizia etnica della popolazione autoctona, che se a Gerusalemme e in West Bank si concretizza coi bulldozer e gli ettari di terra divorati ogni giorno radendo al suolo case e abbattendo ulivi millenari, qui a Gaza continua incessantemente a sradicare vite umane.
Ieri pomeriggio a Beit Hanoun,verso le ore 17, il pastore beduino Ibrahim Abu Sayed di 91 anni si trovava col suo nipote diciassettenne Hossam e un suo amico, Ismail Abu Oda, di anni 16 a Nord di Sharab Street, a badare al bestiame nella loro terra posta a circa 700 metri dal confine, quando durante una improvvisa incursioni di blindati israeliani un carro armato ha sparato un colpo di cannone direttamente su di loro, riducendo i corpi in brandelli.
All’ospedale di Beit Hanoun abbiamo incontrato le famiglie di queste nuove vittime del terrorismo israeliano, la moglie di Ibrahim, devastata dal dolore, sfogava gridando a squarciagola tutto l’orrore a cui aveva appena assistito.
terrorismo israeliano made in israel

Ero con loro mezz’ora prima che dell’attacco”, ci ha avvicinato Mohammed Abu Oda, un parente, “li ho visti prendersi cura delle loro pecore. Poi quando mi sono allontanato ho sentito i colpi sparati dai carri armati israeliani, i colpi che hanno ucciso i nostri familiari.
terrorismo israeliano made in israel


Sono morti all’istante, secondo quanto ci ha riferito un dottore che preferisce rimanere anonimo. Ibrahim presentava sul petto e sullo stomaco numerose ferite causate da frammenti di esplosivo, mentre Hossam è arrivato all’ospedale con la parte posteriore del cranio mancante, come abbiamo potuto constatare all’obitorio. Anche Ibrahim, l’amico di Hossam, è arrivato cadavere dinnanzi ai dottori e anch’esso con gran parte della testa mutilata.

Israele dichiara che la nostra terra si trova nella buffer zone, ma siamo almeno 700 metri lontano dal confine”, ci ha raccontato lo zio di Ismail, Majdi Abu Oda. “Siamo tutti contadini e pastori che viviamo lì da moltissimi anni. Non siamo nemici di Israele, non rappresentiamo un pericolo per loro. Hanno telecamere piazzate ovunque lungo la linea di confine e ci hanno visto centinaia di volte. Hanno le nostre foto, ci conoscono bene, come sapevano benissimo che i tre uomini ammazzati oggi erano civili e non combattenti.”
terrorismo israeliano made in israel

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Lo stesso sdegno suscitato nel mondo per l’omicidio dei coloni israeliani non si è fatto vedere neanche questa volta a Gaza per il massacro di questi 3 pastori, che a differenza dei coloni erano secondo le leggi internazionali si trovavano a tutti gli effetti sulla loro terra e non rappresentavano una minaccia per Israele.
terrorismo israeliano made in israel
Per commemorare la macabra fine di un anziano nonno, di suo nipote e di un secondo adolescente, domani a Beit Hanoun è prevista una manifestazione al confine, che si presume sarà molto partecipata.
terrorismo israeliano made in israel

Saber Zaneen, coordinatore dell’associazione di volontari “Local Initiative” e organizzatore della manifestazione ha dichiarato:
terrorismo israeliano made in israel
Oggi l’occupazione israeliana ha commesso un nuovo crimine da aggiungere alla sua infinita lista nera. 3 martiri ora riposano con onore e dignità in cielo. Chiediamo con forza alla comunità internazionale e alla società civile tutta di mobilitarsi affinchè cessino questi crimini contro l’umanità contro civili palestinesi e di impegnarsi per proteggere la popolazione all’interno della Striscia di Gaza”.

Restiamo Umani
Vittorio Arrigoni dalla Striscia di Gaza

mercoledì 8 settembre 2010

Schifabili



In democrazia dovresti esser libero di protestare, di zittire i mafiosi, i piduisti e gli stragisti che parlano o vorrebbero farlo, anche se sono stati votati dai cittadini, perché anche Hitler lo fu.

Il problema è che la trasversalità innata del PD li porta ad invitare Schifani, a fare la Bicamerale, ad evitare accuratamente il conflitto di interessi e a disertare tutte le votazioni importanti che vanno contro il presunto avversario politico, che in realtà non è. Ogni passo marciante di Berlusconi è stato avallato da questa finta opposizione trasversale che inciucia con gli stessi poteri.

Il problema è che questi avversari politici non hanno la benché minima dignità di avversari, e non dovrebbero essere mai considerati interlocutori credibili, men che meno dovrebbero essere invitati all'interno di discussioni o dibattiti del centro-sinistra.

L'attività salvifica di questa opposizione è una corbelleria sbugiardata dalla storia politica italiana, che si misconosce.

Ho sempre pensato che questa finta opposizione sia il vero cancro italiano, molto più di coloro ai quali fintamente si oppongono, che esistono proprio perché c'è questa opposizione.

Un certo Thomas Mann ci diceva che "la tolleranza diventa un crimine quando si applica al male". Ecco, questi sono dei criminali.

martedì 7 settembre 2010

Mobilitiamoci per Teresa Lewis

VIRGINIA. Teresa Lewis: Bianca, 33 anni al momento del crimine: omicidio di un uomo bianco di 51 anni, suo marito (ha assoldato due killer) e di un ragazzo bianco di 25 (suo figliastro) a Keeling il 30-10-2002; condannata il 04-06-2003. Verrà giustiziata il 23 settembre.

"Comunque nel tentativo di fare giustizia proviamo un esperimento presentandovi la foto di Teresa Lewis (accusata all'incirca delle stesse cose di Sakineh) come quella dipinta dai mass media occidentali nei confronti di Sakineh, così a giustificare una marea di fandonie sull'islam e l'Iran in particolare. Speriamo di far riflettere qualcuno."



I diritti vengono calpestati in molti Paesi occidentali. Negli USA e Israele vengono censurati i libri di Vidal o Saramago, esiste Guantanamo ed un razzismo atavico che porta alla morte di migliaia di neri, ispanici e quant'altro. Israele non rispetta risoluzioni ONU, applica l'apartheid a Gaza e fa pulizia etnica in Palestina, in nome di una religione affaristica dell'occhio per occhio e dente per dente. John Trudell, attivista nativo americano e musicista, ha bruciato la bandiera americana, e per questo la CIA gli ha incendiato la casa con dentro moglie e figli, morti carbonizzati. Ed è solo un esempio su migliaia di altri che avvengono nei Paesi occidentali. Gente che sparisce, manifestanti picchiati ed uccisi, mafie, magistrati che saltano in aria, stragi senza colpevoli eccetera.

Tutto questo senza contare i sicari dell'economia, cioè il modo in cui i paesi occidentali esportano la loro presunta democrazia ammantata di valori cristiani nel mondo povero, in maniera dissimulata, fomentanto odio, architettando golpe, massacrando civili. Dai nativi americani ad oggi passando per bombe atomiche sui civili (il più grande crimine contro l'umanità), vietnamiti e mussulmani, massacrati a milioni nelle guerre in Afghanistan ed Iraq.

Come scriveva Gandhi, la nostra democrazia, quella occidentale, è una forma diluita di nazismo o fascismo. Ed io aggiungo che democrazia e fascismo sono solo due facce della stessa medaglia, due forme della dittatura del Capitale.

Questo senza scomodare religioni e culture, dato che la cultura araba è immensa e magnificente. Quando noi eravamo dei pecorai, loro erano la culla delle scienze e dell'architettura.

domenica 5 settembre 2010

A Palmiro Togliatti


Articolo apparso su «La sinistra proletaria», organo romano della «Frazione di Sinistra dei Comunisti e Socialisti Italiani». Si tratta di una lettera di Victor Serge indirizzata «A Palmiro Togliatti» che apparve nel numero del 19 febbraio 1945 del giornale. Nello scritto non compare il nome di Victor Serge; è firmato «Redazione di Mundo» che era la rivista messicana cui Serge collaborava. La lettera venne ripubblicata in una nuova traduzione, da Attilio Chitarin, probabilmente all'oscuro che era già apparsa in italiano, nel numero del 18 febbraio 1978 del quotidiano «Lotta Continua» e ripresa poi nel n. 1 del 31 gennaio 1983 della rivista «Belfagor».

A Palmiro Togliatti

Signor Ministro,
dal 1926 lei è stato il rappresentante a Mosca del Partito Comunista Italiano, membro del Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista, Segretario di questo esecutivo per i paesi latini, incaricato di missioni di fiducia in Spagna, e godette della piena fiducia del governo russo. In un modo inevitabile, lei doveva collaborare con il Commissario degli Interni di Russia, ossia con la Polizia Politica di quel governo. Era a lei che, dal fondo delle carceri in cui si trovavano, si rivolgevano i rifugiati italiani perseguitati dalla G.P.U., mandandole preghiere completamente inutili. Lei è stato testimonio delle persecuzioni di cui son stati vittime da quindici anni i suoi compatrioti antifascisti italiani rifugiati nella URSS. Lei non può ignorare il numero di quelli che furono fucilati e di coloro che tuttora soffrono nelle carceri, e che oggi ancora potrebbero essere salvati. Riconosciamo che, a Mosca, a giudicare delle alte funzioni che lei occupò, poco o nulla poteva fare per salvarli o per attenuare le loro persecuzioni. Non avrebbe potuto fare altra cosa che elevare una coraggiosa protesta, la quale l'avrebbe condotto ad essere sommariamente giustiziato. Lei preferì collaborare con i persecutori ed i carnefici dei suoi compatrioti. Fu un atteggiamento politico che preferiamo non discutere in questo momento.
Il riconoscimento da parte del governo dell'URSS, del governo monarchico del Maresciallo Badoglio, ex membro del Gran Consiglio Fascista, e poi di quello di Bonomi, ha portato lei ad un posto di Ministro nel governo antifascista d'Italia. Lei arrivò nel suo paese a bordo di un aeroplano sovietico. Però ora, come membro del governo di un'Italia che comincia a liberarsi, lei ha altri obblighi, distinti da quelli precedenti. Difatti, ha obblighi con il popolo italiano, con gli antifascisti che han lottato durante vent'anni contro la dittatura di Mussolini, con i compagni di Matteotti, di Lauro de Bosis, di Amendola, dei fratelli Rosselli, di Gramsci. Lei ha obblighi con tutti coloro che nel vasto mondo han sostenuto senza tregua la lotta contro il fascismo ed hanno conservato la loro fede nell'ideale di libertà del popolo italiano. In particolare, lei è tenuto a rispondere con chiarezza e pubblicamente alle domande seguenti che noi le poniamo in nome di un'emigrazione socialista, composta di rappresentanti di quasi tutti i paesi d'Europa:
Che è accaduto degli antifascisti italiani, rifugiati nell'URSS nel tempo in cui la Rivoluzione russa offriva un'ospitalità generosa ai perseguitati del mondo intero?
Quanti fra questi furono fucilati, quanti si trovano nelle carceri russe, quanti furono deportati dalla GPU da quando, tra il 1929 ed il 1930, si installò in Mosca un regime totalitario?
Quali sono i sopravvissuti e quanti potranno essere ora rimpatriati?
Sappiamo che all'epoca dei processi d'ignominia e di sangue chiamati «processi di Mosca» la maggior parte dei rifugiati italiani nella URSS, inclusi membri del suo stesso Partito, furono imprigionati: molti scomparvero nelle tenebre.
Conosciamo molto nomi, ed abbiamo archivi.
Che è stato del vecchio militante della «Unione Sindacale Italiana», l'operaio milanese FRANCESCO GHEZZI, che nel 1921 si rifugiò a Mosca, che fu detenuto senza processo dal 1929 al 1931, che fu posto in libertà grazie alle proteste internazionali ed alle domande di intellettuali liberali (Romain Rolland, George Duhamel, Henri Barbusse, Boris Souvarine, Leon Werth, Magdaleine Paz, Henry Mann e molti altri) e che scomparve di nuovo nelle carceri della GPU nel 1937?
Che ne è stato del toscano OTELLO GAGGI, condannato a 30 anni di carcere nel 1921 dal tribunale di Arezzo per aver difeso il suo paese contro le bande fasciste, che si rifugiò nell'URSS nel 1922, che fu detenuto senza conoscenza di causa nel 1935 e che nel 1936 sollecitò inutilmente di andare a combattere in Spagna? Ioaquin Ascaso delegato della milizia, Emilian Morin Duruti, delegato della colonna Duruti, Alfonso Miguel, delegato della stampa della CNT, telegrafarono a quel tempo a Stalin appoggiando la domanda di Gaggi. Gli antifascisti spagnoli non ricevettero nessuna risposta e Gaggi scomparve.
Che ne è stato di LUIGI CALLIGARIS, ex redattore del giornale comunista clandestino di Trieste, confinato per cinque anni nell'isola di Lipari (1926-1932), evaso da quell'isola con il concorso e con l'ordine del suo Partito, rifugiato a Mosca, detenuto senza accuse precise nel 1935 e deportato a Shenkursk, nella regione del mar Bianco?
Che è stato delle mogli e dei figli di questo coraggiosi militanti le cui pratiche lei conosce a fondo, e sa molto bene che erano irreprensibili e che il loro unico delitto fu l'aver sostenuto il diritto della libertà di pensiero?
Sono scomparsi senza nessun processo. Nessuno poté difenderli. Quanti di essi morirono? Quando e perché? Quanti vivono ora, e dove?
Il suo dovere è di informare il governo al quale appartiene, l'opinione italiana e l'opinione internazionale, su coloro che morirono e su coloro che vivono, se ancora ve n'è qualcuno. Il suo dovere è di esigere il ritorno dei sopravviventi ai loro paesi. Lei ha potuto tornare perché apparteneva al partito dei persecutori. Ebbene devono poter tornare i perseguitati.
Non è mai troppo tardi per ascoltare la voce della coscienza. Il suo dovere è di parlare ed agire attivamente per salvarli. E' certo che se lo fa il suo Partito lo espellerà e che lei perderà il suo portafoglio di Ministro, ma almeno avrà cancellato un lungo passato di complicità con il totalitarismo. E forse avrà contribuito a salvare la vita ad alcuni militanti che hanno avuto molto più coraggio e chiaroveggenza di lei.
Decida lei come crede: la questione è posta. I veri antifascisti si disonorerebbero ignorandola, e può avere la certezza che non la dimenticano.

Redazione di «Mundo»
Tradotto dalla rivista messicana «Mundo» secondo un ritaglio allegato a lettera del novembre 1944 da Mexico City

A precisazione dell'articolo aggiungiamo che Togliatti nel suo viaggio di ritorno in Italia viaggia fino a Baku, Teheran, Il Cairo ed Algeri in aereo e da qui sul mercantile inglese Ascania giunge poi a Napoli il 27 marzo.
Degli esuli italiani di cui Serge chiede ragione: Luigi Calligaris fu fucilato nel 1937 nel campo di Severo-Vostocnyj, Francesco Ghezzi morì nel GULag di Vorkuta nel 1942 e Otello Gaggi morì nel Kazakistan nel 1945.

mercoledì 1 settembre 2010

L’imprescindibile bertinottismo, o berlusconismo di sinistra


Leggendo e rileggendo, con stupore misto a imbarazzo, l’articolo di Alberto Burgio su Liberazione del 28/08 scorso ho avuto una visione del futuro come un precognitivo e veggente freak di un libro di Philip K. Dick. E ho visto il putridume, lo stesso che vedeva Manfred su Noi marziani.

Poi mi sono riletto alcuni manoscritti economico-filosofici di Marx del 1844 (Marx, non la Bibbia, il libro formativo del Vendola cattolico), in particolare quello sul denaro, e sui desideri indotti da esso. “Chi può comprare il coraggio, è coraggioso anche se è vile.” Ecco, mi sembrava calzante, cioè l’idea di qualcosa che diventi imprescindibile semplicemente perché qualcuno - una pseudo élite di sinistra? – vuole che lo sia, che lo diventi, ed ha il potere ed i mezzi per farlo. Quindi, siccome può “comprarsi” (lo ricordo spesso ospite gradito da Santoro, un po’ dopo l’innamoramento deluso per Di Pietro, mentre i comunisti, al tempo ancora con partiti più numerosi, non li invitava più nessuno) la sua imprescindibilità, allora è imprescindibile anche se non lo è. E questo addirittura a prescindere dal passato, anche prossimo. Nessuna capacità di pensare storicamente, i ricordi svaniscono, le divisioni e le sconfitte diventano quadri lontani, sbiaditi, forse sognati.

Inoltre in questo articolo si citano i disastri veltroniani, ma si scordano, volutamente, quelli vendoliani. Non solo si dimenticano una scissione “pilotata” e un’amicizia malcelata tra gli stessi Veltroni e Vendola (le “V” come vendetta d’una FGCI di lungo corso), ma si depenna il mancato ingresso in Parlamento per colpa di una divisione voluta da un bertinottiano che punta i piedi come un bimbo viziato e dispotico, che non accetta di non essere al centro dell’attenzione - nel caso specifico non si accetta l’esito di un Congresso democratico.

Senza una reale motivazione plausibile, il Burgio continua ad appellare Vendola come compagno - forse di giochi, non so -, e continua ad aggrapparsi ad un’unità a sinistra del PD che lo stesso Vendola ha contribuito a minare, dato che egli per primo è stato la testa di ponte del veltronismo per spazzare via i cosiddetti “cespugli”. Quindi, non bastanti di ciò, il Burgio ci vorrebbe attaccati ancora alle sottane di madri degeneri, che hanno ferito i propri figli, che hanno tradito i propri compagni, che loro oggi non sono più.

Con una miopia senza precedenti si vuole pensare a socialdemocrazie differenti, quando esse invece sono tutte uguali, come uguali sono i capitalismi, figli del dio denaro. Se non sei più comunista sei capitalista. Punto. Si immaginano scenari che vedono i partiti comunisti rialzarsi, riproporsi decisivi, tornare ad essere egemonici e resistere alla dissoluzione attraverso la ricerca imprescindibile di un interlocutore che tutto ha fatto per superare l’ideale comunista e che tutto ha fatto per spaccare a sinistra del PD, agevolando quest’ultimo nel tentativo, oggi riuscito, di cacciare dai Parlamenti le forze comuniste che potevano dar fastidio, facendo reale opposizione. Anche i poteri che rappresentano queste socialdemocrazie non sono dissimili da quelli berlusconiani, che anzi spesso s’intrecciano, tra massonerie e Opus Dei. Il problema non è Berlusconi, ma i poteri trasversali che lo alimentano, e che alimenterebbero tranquillamente altre forze politiche.

In ultimo, non vedo un’analisi sui personalismi, non leggo pensieri che colgano la concezione di uomo-partito che c’è in Vendola, la stessa concezione che c’è in Berlusconi, o addirittura in Di Pietro. Partiti che si reggono su di una sola persona, volantini politici che fanno espresso riferimento ad un unico nome, iniziative sempre ed unicamente in riferimento a quest’unico nome, addirittura attività politiche attraverso pseudo fabbriche che portano con sé sempre e solo lo stesso unico nome. Manca solo la rivisitazione di un motto come “Meno male che Silvio c’è” in “Meno male che Nichi c’è”. A quel punto il berlusconismo di sinistra potrebbe esplicarsi completamente, uscire allo scoperto, prendersi le proprie rivincite sull’originale di destra. E portarci direttamente alla sparizione, al putridume che sarà.

Questo partito ancora porta con sé gli strascichi del bertinottismo, e non se ne vuole liberare, quasi come avesse perso una sua identità, minata da un logoramento dell’ideale e dalle sconfitte, che però non sono in nome del comunismo ma solo in quello, appunto, del bertinottismo.

Saluti comunisti.

Simone Tizi, Segratario del Circolo di Fermo del PRC

Inviato a Liberazione il 30/08/2010