lunedì 27 aprile 2009

Germania laica, Gelmini prona


Nonostante l'appoggio della Merkel, viene bocciato il referendum che voleva permettere agli studenti tedeschi di scegliere fra l'ora di etica (in vigore da qualche anno) e l'ora di religione.

Continua dunque, in Germania, l'insegnamento dell'etica e rimane impossibilitato l'insegnamento della religione - se non nell'ora di etica.

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Gelmini: ''L'ora di religione ha maggiore valenza educativa di altre discipline''

sabato 25 aprile 2009

Le piazze rubate del 25 aprile

Marco Revelli: Le piazze rubate del 25 aprile

Oggi alle 11.51

Non c’è, oggi, nulla da festeggiare. Né tantomeno da condividere. Sarebbe ipocrisia non dirlo.
Dobbiamo ammetterlo. Con angoscia. Ma anche con quel po’ di rispetto che merita ancora la verità: il 25 aprile è diventato una “terra di nessuno”. Un luogo della nostra coscienza collettiva vuoto, se ognuno può invitarvi chi gli pare, anche i peggiori nemici della nostra democrazia e i più incalliti disprezzatori della nostra resistenza. E se ognuno può farvi e dirvi ciò che gli pare: usarlo come tribuna per proclamare l'equivalenza tra i partigiani che combatterono per la libertà e quelli della Repubblica di Salò che si battevano con i tedeschi per soffocarla, come va ripetendo l’attuale ministro della difesa. O per denunciarne – dopo averlo disertato per anni - l’ ”usurpazione” da parte delle sinistre che se ne sarebbero indebitamente appropriate, come l’attuale grottesco e tragico presidente del Consiglio.
O ancora – in apparenza l’atteggiamento più nobile, in realtà il più ambiguo ma anche il più diffuso – per riproporre l’eterna retorica della “memoria condivisa”: quella che in nome di un’ Unità della Nazione spinta fino ai precordi dell’anima, all’interiore sentire, vorrebbe cancellare – anzi “rimuovere”, come accade nelle peggiori patologie psichiche – il fatto, “scandaloso”, che allora, in quel 25 aprile, ma anche nei durissimi decenni che lo precedettero e prepararono, si scontrarono due Italie, segnate da interessi e passioni contrastanti, da valori e disvalori contrapposti. Due modi radicalmente in conflitto tra loro, di considerarsi italiani.
Un’Italia, da una parte, in origine spaventosamente minoritaria, sopravvissuta nei reparti di qualche fabbrica, nei quartieri operai delle grandi città, lungo i percorsi sofferti dell’esilio, nelle carceri e nelle isole del confino (quelle di cui il “premier” parla come di luoghi di vacanza): un’Italia quasi invisibile, fatta di inguaribili eretici, di testardi critici ad ogni costo, anche quando le folle plaudenti sembravano dar loro torto, di gente intenzionata a “non mollare” anche quando il “popolo” stava dalla parte del despota, di “disfattisti” contro la retorica di regime, anche quando le legioni marciavano sulle vie dell’Impero… L’Italia, insomma, dei “pochi pazzi” che, come disse Francesco Ruffini, uno dei pochissimi professori che non giurarono, deve in modo ricorrente rimediare agli errori fatali dei “troppi savi”… E dall’altra parte l’Italia, sempre plaudente dietro qualche padrone, delle folle oceaniche, degli inebriati dal mito della forza e del successo, dei fedeli del culto del capo. L’Italia “vecchissima, e sempre nuova dei furbi e dei servi contenti”, come scrisse Norberto Bobbio: quelli che considerano la critica un peccato contro lo spirito della Nazione, e la discussione un lusso superfluo.
Vinse la prima: il 25 aprile sanziona appunto quella insperata, impossibile vittoria. E vincendo finì per riscattare tutti, permettendo persino, con quella sua sofferta vittoria, all’altra Italia di mascherarsi e di non fare i conti con se stessa. Sicuramente di non pagare, come avrebbe meritato, i propri crimini ed errori. Ma con ciò il dualismo non scomparve: rimase comunque un’Italia che si identificò con la Resistenza, e una che mal la sopportò e l’osteggiò. Una che si sforzò di continuare l’opera di bonifica contro quell’espressione dell’”autobiografia della nazione” che è stato il fascismo, e un’altra che, sotto traccia, in quell’autobiografia ha continuato a riconoscersi. Un’Italia che stava (fino a ieri pubblicamente) con i suoi partigiani, e un’altra che continuava (fino a ieri privatamente, o quasi) a diffidarne, se non addirittura a rimpiangere il proprio impresentabile passato.
Ora quella “seconda Italia” (fino a ieri forzatamente in disparte, per lo meno nel giorno dell’anniversario) ha rialzato la testa. Si è dilatata nello spazio pubblico fino a occuparlo maggioritariamente. E ha rovesciato il rapporto. L’autobiografia della nazione è ritornata al potere. Non solo ha ripreso pubblicamente la parola, ma ha ricominciato a dettare l’ordine del discorso. A rifare il racconto pubblico sul nostro “noi”. Tutto il frusto dibattito di questi giorni sul nuovo significato del 25 aprile si svolge all’insegna di quella domanda di “ricomposizione” delle fratture, che nel fingere di “celebrare” le scelte di allora in realtà le neutralizza e offende. Di più: ne rovescia radicalmente il segno.
Ci sta alle spalle un mese in cui abbiamo assistito a un clamoroso tentativo d’imporre, con la logica dell’emergenza, un clima asfissiante di rifiuto della critica e di esaltazione del culto del capo; in cui il sistema dell’informazione ha raggiunto vette di servilismo imbarazzanti; in cui l’opposizione, ridotta a fantasma, ha balbettato o si è adeguata. Come non vedere quanto l’appello alla “memoria condivisa”, in questo contesto, suoni sostegno a quella stessa domanda di unanimismo che sta dietro ogni logica di regime? Quanto essa risponda a quella sorda domanda di far tacere le differenze e le dissonanze che costituì il vero “male oscuro” delle nostre peggiori vicende nazionali?
Per questo – per tutto questo – per la prima volta, nei sessantaquattro anni che ci separano dall’evento che si dovrebbe festeggiare, le piazze ci appaiono perdute. In esse non ci troviamo più a casa nostra, non tanto e non solo perché i nostri avversari hanno prevalso (questo accadde anche nel 1994, e il 25 aprile in piazza ci fummo, eccome!). Ma perché una delle due Italie, quella che aveva riempite quelle piazze come luoghi di una democrazia faticosamente presidiata, non c’è più. La sua voce si è affievolita, fin quasi al silenzio, per oblio delle proprie radici, incertezza sulle proprie ragioni, pigrizia mentale… Per insipienza degli uomini e fragilità del pensiero. Non andremo al mare, in questo giorno. Questo no. Ma in montagna forse sì, lì idealmente si dovrebbe ritornare, dove l’aria è più fine e favorisce la riflessione e il pensiero. Sul mondo nuovo che stentiamo a capire. E su di noi, che ci siamo smarriti. Ne abbiamo un impellente bisogno.

Marco Revelli

da il manifesto, 25/04/2009

venerdì 24 aprile 2009

Il sacrestano mette la svastica al braccio


Il sacrestano mette la svastica al braccio
Vigevano, incredulità tra i fedeli. Ma lui non si scompone: «Sono di destra, è libera espressione»

VIGEVANO (Pavia) — Non fosse per il luogo in cui lavora, una chiesa, forse ci sarebbe stato chi non si sarebbe stupito più di tanto. Ma quando hanno visto il loro sacrestano accoglierli davanti al sagrato con una svastica al braccio, tra i fedeli della parrocchia di San Francesco, a due passi dalla Piazza Ducale di Vigevano (Pavia), è scoppiato un vero putiferio. «È una cosa vergognosa», è il coro unanime dei parrocchiani. Eppure Angelo Idi, 51 anni, sacrista da cinque, che pure rischia una denuncia, proprio non capisce il motivo di tanto scompiglio: «È stata una mia libera espressione — replica con fare sorpreso il sacrista —. Siamo ancora in un Paese libero, o no?». La sua libertà il sacrestano l'ha voluta esprimere così, indossando al braccio sinistro la fascia rossa con il simbolo nazista.

Il giorno era martedì, guarda a caso la giornata di commemorazione delle vittime della Shoah. «Veramente non lo sapevo — si giustifica —, ma non mi pare comunque che in questi anni gli israeliani abbiano avuto la mano leggera con i palestinesi». Così, mentre in Israele si ricordava l'Olocausto, Idi stazionava sul sagrato della chiesa di San Francesco con il bracciale di Hitler in bella mostra e salutava i fedeli che uscivano dalla messa. Capello cortissimo e occhialini tondi dietro a due occhi dall'espressione indecifrabile, Angelo Idi non ha problemi a parlare delle sue idee politiche. «Sì, io sono di estrema destra — ammette — e sono fiero di esserlo. Mi sento il portavoce delle Brigate Nere, dei giovani combattenti della Repubblica di Salò che non hanno svenduto il loro onore e la patria, come invece hanno fatto coloro che, definendosi combattenti, hanno fomentato una guerra fratricida».

Lui che al periodico «La Legione » ha pure scritto una lettera per porgere le scuse dell'Italia alla famiglia Mussolini, non vede nessun conflitto tra politica e religione. «In chiesa lavoro col massimo dell'impegno — dice —. Del resto quanti buoni cattolici votano a sinistra e quanti si sono espressi a favore dell'aborto?» Il vescovo Baggini, fa sapere di non aver dichiarazioni da faah!re in merito alla vicenda, mentre il telefono del parroco, monsignor Paolo Bonato, squilla a vuoto. Il capogruppo di Rifondazione, Roberto Guarchi, chiede a gran voce l'allontanamento del sacrestano: «È un fatto inammissibile — commenta — va rimosso dall'incarico».

Erika Camasso
24 aprile 2009

www.corriere.it

giovedì 23 aprile 2009

Date obolum Belisario


FOTOVOLTAICO

Il Vaticano avrà l'impianto
solare più grande d'Europa

Il progetto è alle fasi finali di studio. I lavori potrebbero partire entro due-tre mesi. Prezzo: 500 mln di euro. E il surplus di energia sarà venduto all'Italia


Il Vaticano pensa ai poveri...

martedì 21 aprile 2009

Obama: niente processi per i torturatori di Guantanamo


Il presidente degli USA Barack Obama non condannerà gli agenti della Cia colpevoli di aver torturato i prigionieri sospettati di terrorismo durante il governo Bush. La notizia, annunciata dallo stesso presidente degli Stati Uniti, pochi giorni fa, durante la sosta a Città del Messico, prima tappa del suo viaggio in America Latina, ha trovato sostegno nelle parole del capo dell'Intelligence Dennis Blair, riscuotendo invece molto scalpore da parte dell'opinione pubblica, che identifica nella scelta di non prendere misure legali verso i torturatori una netta contraddizione rispetto alla recente chiusura del carcere di massima sicurezza di Guantanamo, considerato da Amnesty international lesivo di ogni diritto umano e civile. Eppure, la garanzia offerta da Obama di non perseguire "coloro che hanno fatto il loro dovere in buona fede basandosi sui consigli legali del dipartimento della Giustizia" sembra mirare alla rivelazione di molte verità finora nascoste e smentite dagli stessi protagonisti degli abomini perpetrati nelle carceri, proprio per la paura di incorrere in duri provvedimenti o condanne.

lunedì 20 aprile 2009

Silenzio stampa


Coca nel bagaglio: arrestata segretaria Lega Nord

Fermata all'aeroporto di Agno con otto kg. Bloccata anche un'altra persona

Nessun giornale ne parla, siamo in un regime mediatico, guai a disturbare gli alleati di Berlusconi.

Qui

domenica 19 aprile 2009

Intervista a Vauro


Conversazione telefonica di Jacopo Venier, direttore di PdCI-TV, con Vauro Senesi.

mercoledì 15 aprile 2009

Ancora censura


... Chiunque abbia visto la trasmissione incriminata sa che la critica di Santoro alla Protezione Civile è stata circostanziata e testimoniata. Che la struttura di Bertolaso non avesse predisposto un piano di emergenza nella regione colpita, è evidente. Nessuna esercitazione, nessuno in Prefettura pronto a intervenire. Otto ore dopo la tragedia, alle 11,30 del mattino successivo alla grande scossa, i medici dell’ospedale non avevano ricevuto aiuto, e alle 6 del mattino non c’erano ambulanze disponibili. Sono i fatti testimoniati dai primari intervistati dagli inviati di Anno Zero e confermati dal sismologo più accreditato Boschi. Peccato che nessun telegiornale li avesse notati, e che solo i cronisti di alcuni giornali li avessero denunciati.

Da il manifesto

... Questa gente dà la brutta sensazione di non aver vissuto né essere stata educata in Europa, non aver letto un libro, non sapere come ci si comporta a livello istituzionale, di essere ingorda di consenso e digiuna di didattica democratica.

(Diego Cugia)

Siamo in un regime totalitario. Alzate lo sguardo, alzate la testa. Fate girare queste vignette, indignatevi contro queste censure, contro questi ritardi, contro queste morti annunciate. Fatelo, per dio!, dimostrare di essere ancora vivi e di non far parte della generazione passiva. Battete un colpo!

venerdì 10 aprile 2009

Sunt lacrymae rerum


Funerali di Stato insopportabili, tutti quei prelati come avvoltoi, tutti quei canti imbecilli... li hanno uccisi due volte.

Come al solito, non c'è vera partecipazione ma spettacolarizzazione. Modi di emanare la propria influenza, l'egemonia culturale, quella tradizionale e religiosa. Si avverte un impossessamento di quelle morti, un uso strumentale per dare messaggi evangelici o di buongoverno. Le nostre anime, i nostri connazionali. Se non si fossero spente così, le loro vite non sarebbero interssate a nessuno. In vita erano poveri cristi come tanti altri, oggi sono le nostre anime, i nostri connazionali. Un modo come un altro per sparger merda in maniera affettata e buonista.

mercoledì 8 aprile 2009

Ian Tomlinson death


Ancora sangue sui volti dei manifestanti, ancora una morte assurda, ancora le solite forze dell'ordine:

Il domenicale Observer raccoglie le testimonianze di chi ha visto cadere l'edicolante Tomlinson
durante la manifestazione contro il vertice dei Grandi: "Spinto e manganellato"
Londra: "L'uomo morto al G20
è stato aggredito dalla polizia"
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

LONDRA - Ci sono voluti cinque giorni, ma la verità sulla morte misteriosa di un uomo durante la "battaglia" di mercoledì scorso nella City tra dimostranti e polizia comincia finalmente ad emergere. La Independent Police Complaints Commission (Ipcc), una commissione governativa indipendente che ha la supervisione del comportamento della polizia, ha ricevuto testimonianze oculari secondo cui la vittima è crollata al suolo dopo essere stata assalita da agenti anti-sommossa armati di manganelli.

Come riportato per primo giovedì da Repubblica citando fonti dei manifestanti che dicevano "lo hanno ucciso", Ian Tomlinson, un edicolante di 47 anni che tornava a casa dal lavoro, avrebbe dunque perso la vita a causa delle forze dell'ordine, non per un infarto sofferto per caso mentre si trovava nelle vicinanze degli scontri tra no-global e poliziotti come riportato finora da Scotland Yard.

La commissione independente non ha ancora reso noto il suo rapporto sulla vicenda, al termine del quale deciderà se aprire un'indagine giudiziaria ufficiale per individuare i responsabili di una "morte sospetta", ovvero di un possibile omicidio. Ma ieri l'Observer, edizione domenicale del quotidiano Guardian, ha a sua volta pubblicato tre resoconti, forse degli stessi testimoni che hanno deposto davanti alla Ipcc, in cui si afferma che Tomlinson fu attaccato "violentemente" dagli agenti. Uno di questi sostiene che l'uomo è stato colpito pesantemente alla testa con un manganello. Un altro riferisce che è stato spinto alle spalle dai poliziotti con una forza tale da fargli sbattere la testa per terra. E uno di questi testimoni ha dato al giornale anche fotografie scattate sulla scena, in cui si vede l'edicolante a terra, inerme, circondato da poliziotti con caschi, scudi e manganelli: fa un gesto come per protestare o ripararsi. Successivamente al suo fianco c'è un giovane in abiti borghesi che, secondo i resoconti, lo ha aiutato a rialzarsi. Ma i testimoni concordano che dopo aver mosso qualche passo barcollando, Tomlinson si è accasciato di nuovo al suolo: e non ha mai più ripreso conoscenza.

Dice all'Observer Anna Branthwaite, una esperta fotoreporter: "Ricordo bene di averlo visto. Veniva spintonato da dietro da un poliziotto in assetto anti-sommossa, due o tre minuti prima che perdesse i sensi. Non era un esagitato o un provocatore, ma la polizia sembrava aver perso il controllo. Gli agenti avevano chiuso la zona della manifestazione, non lasciavano entrare o uscire nessuno, ma qualche passante riusciva lo stesso a filtrare trai cordoni di poliziotti. Tomlinson era uno di questi". E' una tattica che i dimostranti hanno definito come "chiuderci in gabbia", usata anche in altri paesi in occasione di manifestazioni di protesta: accadde anche al G8 di Genova, e ora fortemente criticata dalla stampa inglese, che accusa la polizia di metodi brutali che hanno fatto salire la tensione e incentivato gli scontri. Un altro testimone oculare, Amiri Howe, 24 anni, ricorda di aver visto un agente picchiare Tomlinson "vicino alla testa" con un manganello: è lui che ha scattato le foto dell'episodio pubblicate dall'Observer. Dice una donna, di cui il giornale non rivela il nome ma che ha testimoniato alla commissione indipendente: "L'ho visto cadere a terra, dopo essere stato violentemente spintonato in avanti. da un poliziotto. Ho notato che cadendo ha sbattuto in modo orrendo la fronte sul marciapiede. Ne sono rimasta fortemente impressionata". E un'altra donna, Natalie Langord, 21 anni, riferisce i suoi ultimi attimi di vita: "Barcollava, pareva disorientato, poi è crollato al suolo. Ho chiesto a un mio amico di soccorrerlo".

E' a questo punto che alcuni manifestanti hanno chiamato altri poliziotti, che hanno inviato sul posto due infermieri, i quali hanno inutilmente tentato di rianimare Tomlinson e poi hanno fatto arrivare un ambulanza: ma l'uomo è arrivato morto in ospedale. Era sposato, ma viveva da solo in un ostello nei pressi della City. David Howart, deputato del partito liberal-democratico, afferma che "dovrà esserci una piena inchiesta giudiziaria, è possibile che quest'uomo sia stato ucciso dalla polizia".

(5 aprile 2009)

Il video

martedì 7 aprile 2009

Questa è la favola della viltà (op. cit.)



Nel mezzo di baronati ed accademie frutto del provincialismo italico, c'è qualche scienziato che ancora usa la testa, e parla di buonsenso. La tragedia di L'Aquila ha prodotto solo un veloce avviso di garanzia per una persona che studia i collegamenti tra radon e grossi terremoti, prassi consolidata da anni in Giappone. I nostri scienziati chiusi nelle loro torri eburnee, e la gente di fuori a morire ancora sotto polveri antiche.

Nessuna prevenzione, nessun allarme, nessun danaro speso per rendere antisismiche le case. Niente di niente.

Terremoti

Come c’era da aspettarsi, il prolungarsi della sequenza sismica che sta interessando in questi giorni l’aquilano comincia a suscitare un notevole interesse, per non dire preoccupazione, nella popolazione. Altrettanto, c’era da aspettarsi la diffusione di notizie di tutti i generi, alcune esatte, altre inesatte o male interpretate, altre ancora decisamente sbagliate e pericolose.

Nella mia qualità di ricercatore che ha lavorato per oltre un decennio presso il Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti del CNR, nonché di docente di Geologia presso la nostra Università, mi permetto di fare (non) brevemente il punto della situazione. È un dato di fatto, storico, statistico e geotettonico, che l’Appennino centrale, e l’Aquila in particolare, siano sede di attività sismotettonica elevata. Storicamente, nella città dell’Aquila si sono registrati negli ultimi 800 anni almeno 4 eventi di forte intensità (9 settembre 1349 – X MCS; 26 novembre 1461 – X MCS; 2 febbraio 1703 – X MCS; 6 ottobre 1762 – IX-X MCS), oltre a qualche altra scossa presa a prestito dai paesi vicini (5 dicembre 1456, Molise; 7 ottobre 1639, Amatrice; 13 gennaio 1915, Avezzano). In realtà, in molti casi, le strutture tettoniche dell’aquilano appaiono collegate con quelle vicine: è il caso del terremoto del 9 settembre 1349, preceduto di poche ore da una scossa del X grado nel reatino e subito seguita da una terza scossa del IX a Sulmona. Ancora più esemplicativi sono i terremoti del 1703, che iniziarono il 14 gennaio con una scossa di XI grado a Norcia-Amatrice, seguiti dalla scossa del 2 febbraio all’Aquila, ed ancora seguita, tre anni dopo, da un terremoto di XI grado in Maiella. Terremoti e strutture tettoniche, quindi, sono collegate tra loro da precise relazioni fisiche: al rilascio di energia (terremoto) e di deformazione su di una struttura, corrisponde un successivo accumulo su quella contigua: se questa è sufficientemente “carica”, può a sua volta rompersi, ecc. Se noi conoscessimo tutti i parametri e le forze in gioco, potremo calcolare l’evoluzione del sistema nel tempo, cioè “prevedere” l’attività sismica. Poiché, purtroppo, non potremo mai conoscerli con sufficiente precisione, dobbiamo affidarci ad altri metodi: i cosiddetti “precursori”, tra cui il flusso di radon studiato da Giuliani (ma anche dallo scrivente) è uno dei più promettenti. In attesa tuttavia di disporre di “previsioni” certe ed attendibili, dobbiamo ricorrere all’analisi statistica delle serie storiche, od alla sua forma semplificata: il buonsenso. L’Appennino è una catena montuosa viva, attiva, che cresce lentamente, se pur a piccoli passi, spinta dalle grandi forze tettoniche che muovono i continenti. Ad ogni passo corrisponde un terremoto, piccolo o grande, e dopo un certo periodo di quiete dobbiamo aspettarci che la struttura sia pronta per il passo successivo. Il buonsenso ci dice che difficilmente potrà passare un altro secolo senza che la nostra Città debba subire un’altra scossa disastrosa. Non so se questa attività sismica attuale (che comunque si colloca sulla struttura principale, a circa 10 km di profondità) possa preludere a scosse di intensità maggiore, comunque certamente sta svolgendo l’utilissimo ruolo di rammentarci che viviamo in zona sismica. Ancora a buonsenso, dobbiamo prepararci: molti di noi, od i nostri figli, od i nostri nipoti, dovranno affrontare l’esperienza del terremoto. Le probabilità che avvenga una scossa più o meno forte non dipendono da noi, ma sta a noi ridurre il rischio che questa ci causi qualcosa di spiacevole. Molte di queste “strategie” di mitigazione del rischio devono (dovrebbero?) essere affrontate dall’amministrazione pubblica: preparare piani di evacuazione, di soccorso in emergenza, di supporto all’edilizia antisismica ecc.

Antonio Moretti Docente di Geologia Regionale, Università dell’Aquila Ricercatore Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti, CNR

mercoledì 1 aprile 2009

Borghezio tiene lezione ai neo fascisti francesi



Ecco come sdoganano il fascismo, partendo strategicamente dai piccoli comuni come il nostro, insistendo sull'aspetto regionalista...