Avevo annunciato che avrei parlato diffusamente delle
mie dimissioni da Segretario cittadino del Partito della Rifondazione Comunista
dopo le elezioni, qualsiasi fosse stato l’esito delle stesse. Per questo oggi
mi appresto a farlo, anche se l’esisto estremamente negativo dell’esperienza di
Rivoluzione Civile mi imbarazza, un po’ mi trattiene, in una sorta di rispetto
per la sconfitta, e gli sconfitti. Ma poi penso che si deve andare avanti,
contribuendo a costruire una memoria storica e critica per non ripetere ancora
gli stessi errori.
Le motivazioni della mia decisione, maturata alla fine
del 2012 con non poca tristezza, sono la ovvia conseguenza di una lunga serie
di scelte politiche sbagliate da parte della Dirigenza nazionale del partito,
troppo spesso imposte o scarsamente dibattute. Già l’esperienza de La
Sinistra/L’arcobaleno fu un’esperienza fallimentare: il primo tentativo di
riunire una serie di partiti e leader politici molto diversi tra loro, e non
tutti anticapitalisti, con l’unico scopo di creare un soggetto autosufficiente
e percentualmente rilevante a sinistra. Con lo stesso scopo, e con l’aggiunta
di una convinzione ottusa che la politica passi solo per il Parlamento,
scordando quel cretinismo parlamentare di cui scriveva Marx in Rivoluzione e
Controrivoluzione in Germania, si è approdati alla Federazione della Sinistra,
tentativo presuntuoso e autodistruttivo di riunire due partiti comunisti che si
erano già divisi prima, perché opposti nella prassi politica e non solo.
Attraverso il periodo più buio di questa Federazione, mai nata definitivamente,
cioè quando ci si divideva sull’opportunità o meno di partecipare alle Primarie
del centro-sinistra, ci si è ricompattati con difficoltà attorno a quel
progetto ultimo chiamato Rivoluzione Civile, guidato dal magistrato Antonio
Ingroia. Ennesimo progetto spacciato per l’ultima opportunità di rientrare in
Parlamento, nella rassegnazione evidente di una mancanza di capacità
organizzativa senza i soldi e la visibilità della politica partitica
tradizionale, oggi sempre più osteggiata dall’opinione pubblica e smembrata da
movimenti di protesta sviluppatisi lontani dai luoghi tradizionali
dell’informazione.
Oggi, vanificata del tutto l’opportunità di rientrare
in Parlamento, leggo che anche la Segreteria nazionale del PRC è dimissionaria.
Anche se tardivo, lo ritengo un primo passo. Ora mi aspetto anche
un’autocritica senza appello e quella capacità di comprendere come mai un
programma che al 70% coincideva con quello di Rivoluzione Civile ha portato
circa 8 milioni e mezzo di elettori a preferirgli un altro movimento.
Evidentemente gli italiani non prestano attenzione solo ai programmi.
Evidentemente ci sono mode passeggere e momenti storici differenti, che
comportano riflessioni su parlamentarismo ed extraparlamentarismo, cioè
sull’opportunità di essere l’uno o l’altro a seconda dei momenti storici
stessi. Proprio per questo la sinistra comunista deve rassegnarsi all'idea di
essere minoranza, parlando di programmi e bene pubblico, e di conseguenza ha
solo un modo di esistere oggi: esistere fuori dal Parlamento. Ma deve farlo
serenamente, lavorando al di fuori e cercando di riscoprire una propria
identità, evitando aggregazioni tra diversi (un giorno qualcuno dovrà spiegarmi
serenamente come si possa arrivare a pensare di formare un movimento unitario a
sinistra con un partito che risulta iscritto all’ALDE) o alleanze varie. Solo
così, un domani forse non prossimo, riuscirà a farsi capire e riconoscere; e
forse anche a rientrare in Parlamento.
Detto questo, io credo che i comunisti hanno iniziato
a smettere di esserlo quando hanno preteso di votare leader non comunisti e
movimenti non comunisti. E hanno smesso, di conseguenza, un po’ alla volta, di
contare a livello numerico, disperdendo un’eredità centenaria e un patrimonio
immenso di idee e progettualità, di storia politica, di analisi e prassi
comunista.
Nell’attesa che i compagni ritornino a essere tali,
riprendendosi o riscoprendo l’ipotesi comunista contenuta nelle convinzioni del
PRC originario, ho deciso di distaccarmene. Rimango comunque a disposizione per
una eventuale rifondazione della Rifondazione, anche solo come tesserato onorato
di poter perseguire ancora l’ideale comunista, cioè quello slancio
d’egualitarismo di chi continua ancora a non immaginare il capitalismo come
orizzonte ultimo dell’umanità.
Saluti comunisti,
Simone Tizi, un compagno deluso ma non rassegnato