mercoledì 27 febbraio 2013

Nemmeno gli alberi riconoscono le frontiere


Avevo annunciato che avrei parlato diffusamente delle mie dimissioni da Segretario cittadino del Partito della Rifondazione Comunista dopo le elezioni, qualsiasi fosse stato l’esito delle stesse. Per questo oggi mi appresto a farlo, anche se l’esisto estremamente negativo dell’esperienza di Rivoluzione Civile mi imbarazza, un po’ mi trattiene, in una sorta di rispetto per la sconfitta, e gli sconfitti. Ma poi penso che si deve andare avanti, contribuendo a costruire una memoria storica e critica per non ripetere ancora gli stessi errori. 

Le motivazioni della mia decisione, maturata alla fine del 2012 con non poca tristezza, sono la ovvia conseguenza di una lunga serie di scelte politiche sbagliate da parte della Dirigenza nazionale del partito, troppo spesso imposte o scarsamente dibattute. Già l’esperienza de La Sinistra/L’arcobaleno fu un’esperienza fallimentare: il primo tentativo di riunire una serie di partiti e leader politici molto diversi tra loro, e non tutti anticapitalisti, con l’unico scopo di creare un soggetto autosufficiente e percentualmente rilevante a sinistra. Con lo stesso scopo, e con l’aggiunta di una convinzione ottusa che la politica passi solo per il Parlamento, scordando quel cretinismo parlamentare di cui scriveva Marx in Rivoluzione e Controrivoluzione in Germania, si è approdati alla Federazione della Sinistra, tentativo presuntuoso e autodistruttivo di riunire due partiti comunisti che si erano già divisi prima, perché opposti nella prassi politica e non solo. Attraverso il periodo più buio di questa Federazione, mai nata definitivamente, cioè quando ci si divideva sull’opportunità o meno di partecipare alle Primarie del centro-sinistra, ci si è ricompattati con difficoltà attorno a quel progetto ultimo chiamato Rivoluzione Civile, guidato dal magistrato Antonio Ingroia. Ennesimo progetto spacciato per l’ultima opportunità di rientrare in Parlamento, nella rassegnazione evidente di una mancanza di capacità organizzativa senza i soldi e la visibilità della politica partitica tradizionale, oggi sempre più osteggiata dall’opinione pubblica e smembrata da movimenti di protesta sviluppatisi lontani dai luoghi tradizionali dell’informazione. 

Oggi, vanificata del tutto l’opportunità di rientrare in Parlamento, leggo che anche la Segreteria nazionale del PRC è dimissionaria. Anche se tardivo, lo ritengo un primo passo. Ora mi aspetto anche un’autocritica senza appello e quella capacità di comprendere come mai un programma che al 70% coincideva con quello di Rivoluzione Civile ha portato circa 8 milioni e mezzo di elettori a preferirgli un altro movimento. Evidentemente gli italiani non prestano attenzione solo ai programmi. Evidentemente ci sono mode passeggere e momenti storici differenti, che comportano riflessioni su parlamentarismo ed extraparlamentarismo, cioè sull’opportunità di essere l’uno o l’altro a seconda dei momenti storici stessi. Proprio per questo la sinistra comunista deve rassegnarsi all'idea di essere minoranza, parlando di programmi e bene pubblico, e di conseguenza ha solo un modo di esistere oggi: esistere fuori dal Parlamento. Ma deve farlo serenamente, lavorando al di fuori e cercando di riscoprire una propria identità, evitando aggregazioni tra diversi (un giorno qualcuno dovrà spiegarmi serenamente come si possa arrivare a pensare di formare un movimento unitario a sinistra con un partito che risulta iscritto all’ALDE) o alleanze varie. Solo così, un domani forse non prossimo, riuscirà a farsi capire e riconoscere; e forse anche a rientrare in Parlamento.

Detto questo, io credo che i comunisti hanno iniziato a smettere di esserlo quando hanno preteso di votare leader non comunisti e movimenti non comunisti. E hanno smesso, di conseguenza, un po’ alla volta, di contare a livello numerico, disperdendo un’eredità centenaria e un patrimonio immenso di idee e progettualità, di storia politica, di analisi e prassi comunista.

Nell’attesa che i compagni ritornino a essere tali, riprendendosi o riscoprendo l’ipotesi comunista contenuta nelle convinzioni del PRC originario, ho deciso di distaccarmene. Rimango comunque a disposizione per una eventuale rifondazione della Rifondazione, anche solo come tesserato onorato di poter perseguire ancora l’ideale comunista, cioè quello slancio d’egualitarismo di chi continua ancora a non immaginare il capitalismo come orizzonte ultimo dell’umanità.

Saluti comunisti,

Simone Tizi, un compagno deluso ma non rassegnato