sabato 30 maggio 2009

Con lui c’è da temere per la democrazia


Il Nobel: con lui c’è da temere per la democrazia

MILANO — Einaudi non pubblicherà Il quaderno, il libro che raccoglie testi letterari e politici scritti sul blog dallo scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998. Ne dà notizia «L’Espresso» oggi in edicola anticipando che l’editore della raccolta di saggi sarà sempre torinese, Bollati Boringhieri, ma soprattutto svelando il motivo della momentanea rottura tra l’autore di Cecità e la casa dello Struzzo. «La nuova opera — scrive Mario Portanova — contiene giudizi a dir poco trancianti su Silvio Berlusconi, che di Einaudi è il proprietario». Saramago è severo con Berlusconi ma anche con gli italiani, il cui sentimento «è indifferente a qualsiasi consideraah!zione di ordine morale». Ma «nella terra della mafia e della camorra che importanza può avere il fatto provato che il primo ministro sia un delinquente?». L’autore del Quaderno arriva a paragonare il nostro capo del governo a «un capo mafioso ».

«L’Einaudi — spiega per parte sua un comunicato della casa editrice che ha pubblicato quasi tutti i romanzi del premio Nobel — ha deciso di non pubblicare O caderno di Saramago perché fra molte altre cose si dice che Berlusconi è un 'delinquente'. Si tratti di lui o di qualsiasi altro esponente politico, di qualsiasi parte o partito, l’Einaudi si ritiene libera nella critica ma rifiuta di far sua un’accusa che qualsiasi giudizio condannerebbe».
Saramago, 87 anni, che in questi giorni è nella sua casa di Lanzarote, nell’arcipelago delle Canarie, ha acah!cettato di rispondere via e-mail ad alcune nostre domande. «Non pubblico la mia nuova raccolta di saggi con Einaudi — ci scrive il premio Nobel — perché in essa critico senza censure né restrizioni di alcun tipo Berlusconi, il quale è il caah!po del governo ma anche il proprietario della casa editrice, come di tanti altri mezzi di comunicazione in Italia. La verità è che quella che si è creata potrebbe essere definita una situazione pittoresca se il fatto che un politico accumuli tanto potere non facesse temere per la qualità della democrazia ».

Lo scrittore portoghese, che si rivelò nel 1982 con Memoriale del convento e che non ha mai nascosto le sue simpatie per la sinistra (si iscrisse clandestinamente al partito comunista portoghese nel 1969 riuscendo a evitare le galere del dittatore Salazar), ci scrive che nessuno gli ha mai proposto di cancellare i passaggi su Berlusconi: «Ho conosciuto la censura durante la dittatura portoghese, l’ho sofferta e combattuta e nessuno in una situazione di apparente normalità democratica mi potrebbe chiedere di amputare una mia opera ».
Facciamo notare che certi giudizi ci sembrano quantomeno eccessivi. Saramago non si scompone: «Le qualificazioni che ho dato di Berlusconi non nascono dalla mia testa ma si basano su informazioni giornalistiche che ogni giorno appaiono sulla stampa europea. Io semplicemente osservo e concludo. Con dispiacere, naturalmente». Insistiamo: perché arrivare a paragonare Berlusconi a un «capo della mafia»? Saramago risponde: «Davvero le sembra esagerato? È sicuro? Almeno mi concederà che ha una mentalità mafiosa».

L’autore del Vangelo secondo Gesù è severo anche con l’Italia: «Quando tutte le opinioni che si diffondevano sulla capacità creativa, sulla modernità e talento artistico erano favorevoli, non ricordo nessuno che si lamentasse di questi giudizi. Ora le cose sono cambiate. L’Italia non è più il Paese che emoziona, ma sorprende non certo per le migliori ragioni. Né l’Italia né coloro che amano questo Paese meritano lo spettacolo politico di fascinazione malata per Berlusconi».
Saramago pubblicherà il suo prossimo romanzo da Einaudi? «Del mio nuovo romanzo, che credo vedrà la luce in autunno, non si è ancora parlato e non so dove porterà questa faccenda ».

Il premio Nobel non sa che altre opere di critica a Berlusconi sono state rifiutate da Einaudi, dalle poesie politiche postume di Giovanni Raboni al Duca di Mantova di Franco Cordelli, sino al Corpo del capo di Marco Belpoliti, che l’autoah!re ha preferito pubblicare da Guanda, però commenta: «Dev’essere duro vivere quando il potere politico e quello imprenditoriale si riuniscono. Non invidio la sorte degli italiani, però infine è nella volontà degli elettori mantenere questo stato di cose o cambiarlo».

Dino Messina

venerdì 29 maggio 2009

Il ricordare diventa un atto rivoluzionario, quando tutti dimenticano


Il ricordare diventa un atto rivoluzionario, quando tutti dimenticano. Infatti gli uomini di questo Paese, delle sue provincie e delle sue città - esattamente delle provincie e delle città come la nostra -, hanno smesso di pensare storicamente. Purtroppo noi tutti lo stiamo facendo, da molto tempo. Per questo è giunto il momento di non vergognarsi più del proprio passato, dei propri valori, della propria storia, delle lotte e delle conquiste ottenute attraverso l’ideale di chi vuole far prevalere l’interesse e il bene comune sugli interessi privati.

E’ ora che qualcuno ricominci a parlare dei valori comunistici, dei valori che l’ideale comunista rappresenta: equità e redistribuzione. Cioè di un sistema sociale per cui i beni del mondo dovrebbero essere goduti in comune da tutti, nessuno escluso.

Oggi non ci sono più dei modelli economici di scuola socialista che perseguano equità, redistribuzione e piena occupazione. Il modello economico capitalistico non è equo, non redistribuisce ricchezze e non persegue la piena occupazione, perciò ogni movimento che si rifà al modello capitalistico non può essere considerato come tale. La stessa democrazia in un mondo governato dal libero mercato diventa una forma diluita di nazismo o di fascismo, come scriveva Gandhi nel 1940.

L'individuo può essere libero solo se tutti gli altri lo sono, solo quando tutti gli altri esseri umani hanno un tetto e cibo a sufficienza ogni giorno. Altrimenti non c'è libertà ma sopruso. Ogni accumulazione è un sopruso. Il modello economico comunista non limita niente e nessuno, propone unicamente la certezza che tutti possano usufruire delle risorse equamente, persegue la piena occupazione e l’uguaglianza sociale. Invece il modello economico capitalista crea diseguaglianza, non limita l’arricchimento dei singoli, che si possono permettere di accumulare ricchezze infinite, sottraendone agli altri.

Per questo noi oggi dobbiamo essere fieri di una lista unitaria comunista. Dobbiamo essere fieri di questi compagni che ci hanno messo la faccia e si sono rimboccati le maniche per rappresentare ancora una volta il bene di tutti. Dobbiamo essere fieri di questi candidati, scelti con passione tra giovani e donne, operai e studenti. Lavoratori onesti e scrupolosi, compagni ricolmi di virtù.

Uno dei primi cinici, l’ateniese Antistene, già nell’antica Grecia osava dire che: “Perduto è quello stato che più non distingue fra delinquenti ed onesti.”

sabato 23 maggio 2009

I potenti odiano i proletari e l'odio deve essere ricambiato


L'odio di classe di Sanguineti
Data di pubblicazione: 07.01.2007

Autore:

A proposito delle “scandalose” parole pronunciate dal candidato della sinistra a Sindaco di Genova. Da il manifesto del 7 gennaio 2007

«I potenti odiano i proletari e l'odio deve essere ricambiato». Perciò, sostiene Edoardo Sanguineti, bisogna «restaurare l'odio di classe», per contrastare l'oblìo di sé in cui la classe operaia, «inibita da una cultura dominata dalla tv», è immersa. Pronunciate venerdì sera a Genova, alla conferenza stampa di presentazione del programma della lista «Unione a sinistra» che sostiene la candidatura di Sanguineti a sindaco della città, le parole del grande intellettuale colpiscono gli astanti e le agenzie, e dalle agenzie rimbalzano sui giornali in una serata avara di notizie. Scandalo: che c'entra l'odio di classe, o anche solo la lotta di classe, mentre si montano pagine e pagine sulla separazione di Nicola Rossi e si celebrano funerali su funerali dei «D'Alema boys» orfani del loro leader? Che c'entra quel richiamo ortodosso di Sanguineti alla forza-lavoro, «la merce uomo, che oggi è la più svenduta», mentre la pietra filosofale della politica sociale sono diventati i tagli alle pensioni? Che c'entra quell'abbozzo di analisi del postfordismo, per cui «oggi i proletari sono anche gli ingegneri, i laureati, i lavoratori precari», mentre si parla di categorie sociali solo nella lingua asettica e fiscale della finanziaria? Il poeta dell'avanguardia, il protagonista del «Gruppo 63», il materialista storico non pentito ha colpito ancora, e ha colpito giusto: fanno stridore solo le parole che l'ordine del discorso decide a un certo punto di rendere impronunciabili, indicibile e indecenti. Lotta di classe e odio di classe fanno parte di questo serbatoio di indicibili oscenità: sono letteralmente fuori scena nel teatrino politico corrente, e perbenisticamente censurate dal discorso corrente della sinistra. E non foss'altro per questo è bene che qualcuno torni a pronunciarle.

Sanguineti in verità non aveva aspettato di essere candidato a sindaco di Genova dal correntone Ds, dal Prc e dai Comunisti italiani per tirarle fuori. Meno di un anno fa le aveva pronunciate con la stessa convinzione a Roma, nella solenne Sala del Refettorio della Camera, durante la sua Lectio Magistralis (oggi pubblicata da Ediesse) in onore dei 91 anni di Pietro Ingrao organizzata dal Centro studi per la riforma dello Stato. Allora aggiunse anche «rivoluzione», e spiegò come qualmente «oggi è doveroso essere sgarbati per rendere evidente a tutti che viviamo in un mondo disumano, in cui il 98% delle persone vive una condizione di precarietà o di vera e propria miseria». Sgarbati, ecco. Che non vuol dire violenti, aggiunse allora e ripete oggi il poeta. Significa semplicemente non stare a danzare quel garbatissimo minuetto di parole che vorrebbe convincerci che tutto va bene e che quello in cui viviamo è l'unico nonché il migliore dei mondi possibili. Significa tenere aperta non la speranza per le prossime generazioni - di quella si riempiono la bocca tutti, tanto non ci tocca - ma la responsabilità che lega le generazioni adulte di oggi a quelle che le hanno precedute e a quelle che seguiranno. Senguineti pensa a Walter Benjamin e lo dice: il compito della sinistra non è quello di accodarsi all'idea del progresso e alla promessa della felicità futura, ma di rivendicare e vendicare le ingiustizie passate e presenti perpetrate sugli oppressi. E' la «debole forza messianica» di cui Benjamin scriveva nelle Tesi sul concetto di storia. La sinistra senza alcuna forza messianica di oggi, divisa in tre tronconi e tre candidati a Genova come ovunque ci sia un posto in palio, potrebbe provare a rileggersele.

Edoardo Sanguineti

giovedì 21 maggio 2009

Evangelisti: "La sinistra è viva, ma serve un`offensiva politica"

di Cosimo Rossi

“Non capisco e non avrei mai potuto seguire quanti, in nome dell’unità a tutti i costi, hanno rischiato di dilapidare l’unità tra i comunisti”. Quando invece secondo Valerio Evangelisti occorre che la sinistra riscopra “l’orgoglio di non rinunciare ai propri principi”, ritrovi “il coraggio” del conflitto sociale e “la combattività” nelle sue pratiche, ristabilisca la sintonia con quei movimenti che “non sono disposti a conciliazioni per un posto in parlamento”, richiami il proprio popolo “a un’offensiva politica”. Scrittore di fantascienza, fantasy e horror tra i più noti in Italia, esponente di punta del filone new weird, Evangelisti non indugia davvero in giri di parole quando si tratta della condizione politica della sinistra e del paese per spiegare, tra l’altro, le ragioni del suo impegno in prima persona come candidato della lista comunista nella circoscrizione nordest.


E’ la prima esperienza da candidato a un’elezione?
La prima. E non avrei neanche mai pensato di farlo.


Cos’è che invece ti ha indotto a farlo?
Sono allarmato da quanto succede nel paese e in Europa, da quanto si faccia sentire l’assenza dei comunisti e dell’anticapitalismo. Si direbbe che, dopo la sconfitta alle politiche del 2008, i comunisti siano stati espulsi dalla società italiana e che dunque non restino alternative all’esistente. Questo per me è pericolosissimo. Mi sembra quindi necessario riportare alla sua vecchia combattività una sinistra che ha fatto molti errori ma non per questo può morire.


Quali errori, in particolare, sono stati più dannosi?
L’errore fondamentale è stato piegarsi a tutte le prepotenze del governo Prodi. Le misure che ha adottato sono state risibili rispetto al programma originale per cui è stato votato. E la sinistra ha sopportato troppo a lungo provvedimenti che andavano in direzione contraria rispetto ai suoi valori e i suoi obiettivi. L’abbiamo pagato caro. Ora vediamo di non ricaderci; senza per questo scivolare verso posizioni minoritarie e estremistiche che non hanno respiro nella società odierna.


Oggi come oggi, però, tra divisioni e errori il rischio è che la sinistra non arrivi neanche alla meta del 4 per cento…
Non avrei mai accettato di candidarmi se non ci si fosse distinti da persone che, pur apprezzabili da tantissimi punti di vista, puntano sulla politica come unica arma e sull’unità del tutto artefatta con forze che io non ritengo di sinistra: perché personalmente non ritengo che il Pd oggi possa dirsi di sinistra. Preferisco una sinistra che abbia l’orgoglio di agire da sola, persino soffrendo qualche isolamento nel tessuto istituzionale, ma senza rinunciare ai propri principi.


Eppure le divisioni, insieme ai cataloghi degli errori, rimangono il motivo principale della disaffezione e lo sconforto del popolo di sinistra…
Io non avverto tutto questo scoramento, né il cedimento. Perché in questo paese la sinistra rimane forte anche quando non vota. Se guardiamo alla realtà del paese, insieme a tanta regressione vediamo anche tante lotte sociali che segnano le piazze e i movimenti: l’Onda è stata qualcosa di rilevante, altri movimenti sono in campo. E se non hanno diretta espressione politica potrebbero sempre riconoscersi in una rappresentanza istituzionale. D’altronde, io non ritengo le elezioni un momento decisivo: le ritengo utili, ma non decisive.


In che senso le elezioni non sono decisive?
Voglio dire che mi interessa relativamente poco avere presidente della camera che appartenga a sinistra quando questo non modifica nulla nella società. Mi interessa invece che ci siano parlamentari in Europa e in Italia che si facciano portatori di istanze altrimenti senza voce. Con coraggio. Anche quello di rompere quando è necessario. La democrazia puramente parlamentare, non supportata da un’azione sociale che porti la democrazia nella società, è una democrazia monca. Spesso negli ultimi anni si è oscillati tra chi voleva una politica senza piazza e chi voleva una piazza senza politica. Penso che la sinistra viva nella convergenza delle due cose.


Intanto però la sinistra è minacciata anche da Di Pietro, per l’appunto il più combattivo nel contrapporsi a Berlusconi…
Secondo me Di Pietro è un fenomeno significativo. Funziona perché urla. Sembra di sinistra per i toni esortativi. In realtà è di destra, il suo partito è di destra e i girotondini non sono di destra ma si aggrappano a fattori del tutto secondari rispetto a quelli sociali e storici che andrebbero considerati. Perché a me importa poco dei comportamenti sessuali e conviviali di Berlusconi; m’interessano l’ideologia neoliberista, l’autoritarismo, l’imperialismo, il razzismo: è qui che vedo in Berlusconi il mio avversario politico e di classe.


Insomma: l’efficacia della retorica anti berlusconiana di Di Pietro dimostra che c’è spazio anche per un’efficacia del conflitto sociale?
Rispondo con un esempio. A Bologna ci sono sei o sette centri sociali frequentati da moltissimi giovani. Per motivare questi ragazzi non servono linguaggi smorti o esortazioni al pacifismo a oltranza: penso che non ne possano più, che non siano disposti a conciliazioni solo per una poltrona in parlamento. Perciò credo che chiamando a un’offensiva politica si troverebbe rispondenza in strati giovanili, operai, proletari. Ma va fatto in modo energico e credibile.


Valerio Evangelisti scrittore, candidato nella Circoscrizione Nord-Est

da "Liberazione" del 20 maggio 2009

martedì 19 maggio 2009

Lodo Alfano, conseguenze


Le motivazioni del Tribunale di Milano: secondo i giudici l'avvocato inglese agì "da falso testimone" e consentì al Cavaliere "l'impunità dalle accuse di corruzione"

La sentenza di condanna di Mills

"Mentì per salvare Berlusconi"

La posizione del presidente del Consiglio è stata stralciata grazie al Lodo Alfano


MILANO - "Mentì per salvare Berlusconi". Per questo l'avvocato inglese David Mills è stato condannato a Milano a 4 anni e 6 mesi dai giudici milanesi. Il legale, condannato per corruzione in atti giudiziari agì "da falso testimone "per consentire a Berlusconi e alla Fininvest l'impunità dalle accuse, o almeno, il mantenimento degli ingenti profitti realizzati". E' questo uno dei passaggi delle motivazioni (leggi il documento completo), circa 400 pagine, della sentenza con la quale il tribunale di Milano ha motivato la condanna del legale inglese.

Mills, scrivono i giudici nelle motivazioni, "ha agito certamente da falso testimone da un lato per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l'impunità dalle accuse, o, almeno, il mantenimento degli ingenti profitti realizzati attraverso il compimento delle operazioni societarie e finanziarie illecite compiute sino a quella data, dall'altro ha contemporaneamente perseguito il proprio ingente vantaggio economico". I giudici milanesi ricordano che oltre ai 600mila dollari ritenuti "il prezzo della corruzione", Mills nel 1996 percepiva direttamente da Berlusconi almeno 45mila sterline dichiarate al fisco inglese. "Enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali" che il legale riceveva da Berlusconi.

In pratica, scrivono ancora i giudici, "la condotta di Mills era dettata dalla necessità di distanziare la persona di Silvio Berlusconi dalle società off shore, al fine di eludere il fisco e la normativa anticoncentrazione, consentendo anche, in tal modo, il mantenimento della proprietà di ingenti profitti illecitamente conseguiti all'estero, la destinazione di una parte degli stessi a Marina e Piersilvio Berlusconi".

In sostanza, per i giudici, "il fulcro della reticenza di Mills, in ciascuna delle sue deposizioni, sta nel fatto che egli aveva ricondotto solo genericamente a Fininvest, e non alla persona di Silvio Berlusconi la proprietà delle società off shore, in tal modo favorendolo in quanto imputato in quei procedimenti".

La condanna per l'avvocato inglese era arrivata nel febbraio di quest'anno. A conclusione di un'inchiesta che tirava in ballo il premier e che aveva visto una prima ammissione di colpa di Mills. Il legale nel luglio del 2004 aveva raccontato ai pm di aver ricevuto 600mila dollari dal gruppo Fininvest per dire il falso nei processi in cui era coinvolto Berlusconi: le tangenti alla Guardia di finanza e All Iberian.

Poi, nel gennaio 2009, la ritrattazione e il tentativo di discolpare il presidente del Consiglio (la cui posizione è stata stralciata in seguito all'approvazione del "Lodo Alfano" che garantisce l'imminutà alle alta cariche dello Stato). Una svolta che permise al premier di evitare il rinvio a giudizio per corruzione chiesto dia giudici nel 2006.

(19 maggio 2009)

Mentre si raccoglievano le firme contro il Lodo Alfano quelli del Pd dov'erano? eccole le conseguenze.

mercoledì 6 maggio 2009

Finti democratici, veri bastardi


Raid aerei in Afghanistan: più di 100 morti, tra cui molte donne e bambini

La portavoce della Croce Rossa Jessica Barry parla di un intero villaggio raso al suolo

KABUL - Oltre cento morti, decine di case rase al suolo: in pratica, secondo quanto riferito dal portavoce della Croce Rossa Jessica Barry, e confermato dalla stessa polizia afghana e dalle autorità di governo, un intero villaggio distrutto nella provincia di Farah, in Afghanistan. E, tra le macerie, la stragrande maggioranza dei corpi appartiene a donne e bambini. E' questo il bilancio di diversi attacco aerei delle forze internazionali in Afghanistan, compiuti lunedì e martedì. «Sulla base dei rapporti che abbiamo ricevuto in Parlamento dai residenti e le autorità provinciali oltre 100 abitanti dei villaggi, compresi donne e bambini sono rimasti uccisi» ha detto il deputato della provincia di Farah Mohammad Musa Nasrat. E il collega Obaidullah Hilali ha aggiunto che il bilancio delle vittime può salire ancora «perché molte persone sono ancora sotto le macerie delle case distrutte». «Posso confermare che più di 100 non combattenti sono stati uccisi nel corso di un'operazione nella provincia di Farah», ha detto il capo della polizia Adbul Ghafar Watandar che in un primo tempo aveva parlato di 30 civili uccisi. In un secondo momento, lo stesso capo della polizia, ha precisato che tra nel bilancio totale delle vittime rientrano anche dei guerriglieri uccisi durante i raid.

APERTE DUE INCHIESTE - Il presidente dell’Afghanistan, Hamid Karzai, ha ordinato un’inchiesta sui bombardamenti aereo delle forze della coalizione nella provincia di Farah, costato la vita a moltissimi civili. Karzai è intanto giunto a Washington per un vertice alla Casa Bianca con il presidente degli Stati uniti, Barack Obama e con il presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari. Sulla vicenda è stata aperta un'inchiesta anche dal comando americano che, fino alla diffusione della notizia da parte della Croce Rosse, non aveva fatto riferimento ad alcun attacco.

Qui

martedì 5 maggio 2009

Siamo tutti palestinesi


Portavano uno striscione, di circa 6-7 metri di lunghezza e di 1 metro di altezza, con su scritto «Liberman Roma ti rifiuta, free Gaza stop to racism» i dodici ragazzi bloccati poco fa dagli agenti del Commissariato Trevi e della Digos a piazza Montecitorio, nel corso dei servizi di prevenzione e controllo del territorio disposti dal Questore di Roma in occasione della visita del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Liberman.
Leader della destra radicale, Liberman, è arrivato ieri sera a Roma, prima tappa di un tour che proseguirà a Berlino, Parigi e Praga. Lieberman sarà ricevuto da Berlusconi, dal presidente della Camera Fini, e dal collega Frattini. La visita, ufficialmente incentrata sulle sorti del processo di pace mediorientale sara' l'occasione per mettere a punto la cooperazione militare tra Italia e Israele e giunge alla vigilia del vertice italo-egiziano a Sharm el Sheikh e precede i colloqui negli Usa del presidente Obama col premier Netanyahu e con Abu Mazen. Uno striscione recante la scritta «Lieberman go home, Palestina libera» è comparso ieri sera sull'autostrada Roma-Fiumicino. Con questa iniziativa - si legge in una nota di Forumpalestina - comincia «la mobilitazione contro la presenza di chi propugna la pulizia etnica per la popolazione palestinese e contro la complicità italiana con la politica di apartheid e di occupazione israeliana della Palestina». Nel ribadire che «Lieberman non è un ospite gradito in Italia», Forumpalestina ricorda la manifestazione di protesta organizzata per le 18 di oggi nel centro di Roma, in largo Torre Argentina. Le seguenti associazioni e forze politiche, Forum Palestina, Donne in Nero, Comitato Palestina nel cuore, Sport sotto l’assedio, UDAP, Associazione Punto Critico, Associazione La Villetta, Associazione Altrimondi, Partito dei Comunisti Italiani, Sinistra Critica, Rete dei Comunisti, Partito della Rifondazione Comunista, Partito Comunista dei lavoratori, Collettivo Antagonista Primavalle, CIP, Coordinamento Giovani in Lotta, Rete Semprecontrolaguerra…, in solidarietà con il popolo palestinese considerano la visita del ministro israeliano una vergogna e contestano la permanenza a Roma di Lieberman.

Da notare le significative assenze del Pd e di Sinistra e Libertà.

sabato 2 maggio 2009

Javier Ortiz


... Molti non sanno che Javier ha scritto il suo necrologio, un testo estremamente ironico e demistificatore, degno di essere pubblicato su tutti i giornali. É triste che non lo si faccia. sarebbe il momento di dedicargli un ultimo sorriso, questo che ho adesso sul viso e che, in qualche modo, sta negando la sua morte. (José Saramago)

NECROLOGIO

Javier Ortiz, giornalista
(testo tradotto da Roberto Locafaro)

Ieri è venuto a mancare per arresto cardio-respiratorio lo scrittore e giornalista Javier Ortiz. È qualcosa che egli stesso, autore di queste righe, sapeva molto bene che sarebbe successo, e che per questo lo ha potuto pronosticare, perché non c’è niente di più inevitabile che morire di arresto cardio-respiratorio. Se continui a respirare e il cuore ti batte, non ti danno per morto.

In ogni modo siamo qui, (lui non più). Javier Ortiz fu il sesto figlio di una maestra di Irún, María Estévez Sáez, e di un dirigente amministrativo di Madrid, José María Ortiz Crouselles. I suoi nonni furono, rispettivamente, un signore di Granada con un aspetto da poliziotto – ciò che forse si giustifica considerando il fatto che era un poliziotto –, una signora molto piacevole e colta con allure e cognome del Rosellón, un onorato e discreto carabiniere di Ourense con abilità di calligrafo e una vedova di Haro sposata in seconde nozze con l’appena citato, Javier Estévez Cartelle, dal quale è derivato il nome di battesimo del nostro recente defunto. Se qualche interesse hanno tutti questi antecedenti, cosa che è lontana dalla chiarezza, è quello di dimostrare che, al contrario di ciò che si è soliti pretendere, l’incrocio delle razze non migliora la specie. (si osservi che una gran varietà di provenienze si è messa in gioco per finire per costruire un basco e calvo e bassino.)

Javier Ortiz trascorse l’infanzia a San Sebastián, città a portata di mano, perché nacque lì. Si dedicò fondamentalmente a guardare ciò che stava nelle sue vicinanze, in particolare il petto delle signore – adesso che è già morto possiamo svelare questo suo innocente segreto –, e a studiare cose tanto pellegrine come le città costiere del Perù, di quelle che non riuscì a dimenticare fino all’ultimo respiro. I gesuiti cercarono di indirizzarlo per il buon cammino, però lui scoprì molto presto di essere comunista. Questo rovinò del tutto la sua carriera religiosa, già di per sé poco promettente, soprattutto dal momento che notò con disgusto l’interesse che alcuni sacerdoti ponevano nelle parti pudende.

Il suo primo lavoro da scrittore, apparso in una pagina del periodico della scuola, fu, curiosamente, un necrologio, con cui si potrebbe dire che la sua carriera da giornalista è risultata palindroma, singolare circostanza della quale pochissimi potrebbero vantarsi, anche nell’improbabile caso che lo aspirassero.

A 15 anni, disgustato dalle ingiustizie umane – alcune delle quali continuavano ad avere come riferimento ossessivo i seni femminili – decise di diventare marxista-leninista. Gli anni successivi dovette impiegarli per verificare cosa era quello stava per diventare, a cui contribuirono in maniera decisiva alcuni intrepidi membri della Polizia politica franchista.

A partire del quale, si dedicò con gran entusiasmo a coltivare il nobile genere del libello. Senza sosta. Giornalmente. Anno dopo anno. Andò cambiando di residenza, non sempre per volontà propria – qui meritano speciale citazione permanenze carcerarie e il suo esilio, prima a Burdeos, dopo a Parigi –, però non cambiò mai il suo incrollabile impegno di agitatore politico, che lui desiderava aver acquisito, per quanto assurdo sembri – e sia, di fatto -, nella lettura de I documenti postumi del Club Pickwick, di Don Carlo Dickens, e delle Avventure, invenzioni e mistificazioni di Silvestre Padarox, di don Pío Baroja.

Burdeos, Parigi, Barcellona, Madrid, Bilbao, Aigües, Santander… Passò in tantissimi posti e lasciò le sue tracce in innumerevoli luoghi senza smettere di scrivere, dài e dài, Zutik! Servir al Pueblo, Liberación e Mar, e Mediterranean Magazine – e El Mundo, e una dozzina di libri, varie radio, ed alcune televisioni… Per scrivere, scrisse anche per altri ed altre, ha esercitato a nome di altri che poi si sarebbero presi i meriti in momenti di particolare penuria… A volte lo ha fatto anche per amicizia.

Spinto dalla lettura del Selezione di Reader’s Digest e altre pubblicazioni statunitensi tanto amanti di questo genere di operazioni, un giorno decise di calcolare quanti chilometri coprirebbero i suoi scritti, nel caso che si mettessero tutti in una sola lunghissima riga di dimensione 12. Il risultato della stima è stato indiscutibile: occuperebbero moltissimo spazio.

Anche in materia di amore (di cui sarebbe ingiusto dire che mancasse di qualche esperienza), è stato palindromo. Diceva che le migliori donne, le più affettuose e le più nobili con cui ha condiviso i suoi giorni (senza disdegnare dogmaticamente nessun’altra), erano la prima e l’ultima. Sebbene la favorita gli appariva nel mezzo: sua figlia Ane.

E tutto per finire con qualcosa così volgare come la morte. Per arresto cardio-circolatorio, come già detto. In fine, un altro posto di lavoro disponibile. Qualcosa è qualcosa.

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Javeir Ortiz, scrittore e giornalista, nacque a Donostia-San Sebastián il 24 gennaio del 1948 e morì ieri a Aigues (Alicante), dopo aver lasciato scritto il presente necrologio.

venerdì 1 maggio 2009

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